Certe missive in tempi di guerra si sperava di non riceverle mai.
Siamo nel 1943, il 12 giugno, e un marito scrive alla propria moglie.
Con la stessa naturalezza con cui dice di stare bene e in perfetta salute, comunica: “Dalla presente apprenderai che sono prigioniero […] Sono in mano degli Americani i quali ci anno molto rispetto e ci trattano assai bene“.
Il tono con cui comunica di stare bene può sembrare forzato, ma è vero che in alcuni campi i prigionieri di guerra (militari quindi, non civili) venivano trattati con umanità e in alcuni casi offrendo anche una “permanenza” sufficientemente dignitosa, anche con attività ricreative (teatro, impianti sportivi, etc).
Ovviamente, l’ubicazione del campo non poteva essere riportata sulla missiva. Il mittente al posto della località scrive un generico “Lì”, mentre il campo è identificato da un timbretto laterale con il numero 127.
Per la cronaca, il campo n.127 era ubicato ad Oran, in Algeria.
Faccio infine notare che la corrispondenza da e per i campi di prigionia godeva dell’esenzione postale, come garantito dalla Convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929.
Allo scopo, tutte le nazioni belligeranti approntarono delle speciali cartoline, come quella qui mostrata, che venivano consegnate ai prigionieri per essere scritte e spedite.
Riproduzione riservata.