E’ l’11 maggio 1905 e il commerciante di Lucera (Foggia) Angelo Venturi scrive al signor Tomasicchio di Bari. Si tratta di una normalissima cartolina commerciale come se ne vedono tante, sebbene non può non essere ammirata l’elaborata grafica dell’intestazione. Ma non è questa ad attirare in particolare la mia attenzione, quanto il contenuto. Così infatti il Venturi scrive:
“Compiacetevi spedirmi quattro quintali solita carta da Beccaio a libretti. In attesa vi riverisco.”
Carta da beccaio? E cos’è?
Una rapida ricerca online ci aiuta a scoprire chi sono i “beccai”.
Il termine sembra provenire dalla Toscana dei tempi delle corporazioni. Quella dei Beccai era infatti una delle corporazioni della Firenze trecentesca, e faceva parte delle quattordici Arti Minori, quelle meno ricche e influenti delle sette Arti Maggiori.
Appartenevano a questa corporazione i macellai, i pescaioli, e i gestori di osterie e taverne. Ma il termine “beccaio” si riferisce in particolare ai macellai che commerciavano carni ovine, suine e vaccine, di provenienza delle campagne circostanti la città, ovvero Arezzo, Pisa e soprattutto la Maremma.
Il termine “beccaio” è poi rimasto e oggi lo troviamo in particolare nelle regioni meridionali ad indicare più genericamente il macellaio. Così riporta infatti la Treccani:
beccàio (ant. beccaro) s. m. [der. di becco]. – 1. ant. Venditore di carne di becco. 2. estens. Macellaio: Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi (Dante). Con questo sign., e con varî esiti dialettali, è voce comune in alcune regioni.
La carta da beccaio, quindi, è la carta che si utilizza per incartare la carne.
Oggi si utilizza la “carta politenata”, ovvero quella carta alimentare rivestita di un sottile film di pellicola trasparente, ma all’epoca della nostra cartolina la carta odierna non esisteva ancora, e si utilizzava la classica carta-paglia gialla.
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