COLERA NEL 1970, ALTRO CHE CORONAVIRUS…

COLERA NEL 1970, ALTRO CHE CORONAVIRUS…

Oggi siamo tutti presi dal Coronavirus: le persone, come schegge impazzite, razziano i supermercati come se l’apocalisse fosse dietro l’angolo, comprano Amuchina a 400 Euro al litro, si procurano a peso d’oro mascherine per l’edilizia convinti che possano fare da scudo al virus…
Ma probabilmente ci si dimentica di quanto è accaduto e accade nel mondo…

Tra il 20 agosto e il 19 settembre 1970 nei dintorni di Gerusalemme scoppiò un’epidemia di colera.
Il cosiddetto “paziente zero” fu una donna araba di 30 anni rifugiata nel campo di Anata. Tutti e 5.000 i presenti nel campo di Anata vennero quindi vaccinati.
Tuttavia, il virus trovò un mezzo ancora più efficace dell’uomo per diffondersi: l’acqua.
Le acque delle falde acquifere vennero infettate, e di conseguenza tutti i pozzi. Il virus si diffuse così in città.
Alla fine, 187 furono i contagiati di cui due terzi nella sola Gerusalemme, il resto nel raggio di 15 km dal campo. 8 furono i decessi.

In quell’occasione, l’amministrazione sanitaria israeliana volle sottolineare l’eccessiva allerta causata dall’infezione che portò diversi paesi nel mondo a chiudere le frontiere alle merci israeliane, sebbene fosse chiaro a tutti che frutta e verdura conservate e bevande in contenitori sigillati non potevano essere un veicolo di trasmissione del virus del colera.

La posta, per molto tempo, venne considerata anch’essa veicolo di diffusione del virus.
Già in tempi antichi la corrispondenza che proveniva da zone infette era “disinfettata” nei lazzaretti. La disinfezione avveniva aprendo la corrispondenza ed esponendo la lettera alle fiamme, oppure aspergendola o imbibendola con liquidi disinfettanti, oppure producendo dei tagli sulla lettera chiusa e passandola sopra fumi di varia natura.
Le lettere che subivano questo trattamento a volte riportavano i segni della vicinanza al fuoco, altre volte delle pinze che venivano usate per reggerle sopra i fumi, e naturalmente i tagli che venivano prodotti.
In alcuni casi si utilizzavano anche degli speciali timbri per indicare che la lettera era stata sottoposta a disinfezione: “Netta dentro e fuori”, “Netta fuori e sporca dentro”, etc.

Il pezzo che presento oggi è stato sottoposto allo stesso trattamento, sebbene nel 1970 fosse ormai chiaro e noto a tutti che la carta non poteva e non può essere veicolo e mezzo di diffusione del virus.

Si tratta di una lettera inviata il 24 settembre 1970 dal centro SOS Children’s Villages di Bethlehem verso l’Austria, sede dell’organizzazione umanitaria.
Come è possibile osservare, sul fronte della busta è presente l’impronta di un timbro che recita in doppia lingua:
DESINFECTED LETTER
BETHLEHEM 1970
DESINFISZIERTER BRIEF
La busta venne quindi disinfettata.
E’ infatti possibile notare come su entrambi i lati della busta siano presenti dei forellini, nove a raggiera e uno centrale. Altro non sono che il segno della pinza a rosetta utilizzata per produrre dei forellini e quindi passare la busta sopra i fumi probabilmente di zolfo.

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