Ponza, la più grande delle Pontine, è un’isola meravigliosa.
Chi c’è stato, ci ritorna.
Magari escludendo luglio e agosto, quando l’isola è assaltata di turisti alla ricerca delle calette solitarie e del mare cristallino dove praticare snorkeling.
Ma negli altri mesi dell’anno l’isola è uno spettacolo per tutti e cinque i sensi. Non vanno dimenticati, infatti, la grande cucina di mare e gli eccellenti vini che possono essere gustati in tutti i ristoranti dell’isola.
E, giusto per chiudere il cerchio, per chi vuole, Ponza riesce a placare anche la sete di cultura grazie alla sua storia millenaria: colonia greca e poi romana, conserva tuttora strutture romane che vanno dal porto alle ville imperiali, dalle piscine alle peschiere. Senza poi interpellare l’intervento borbonico, soprattutto al porto.
Ma questo paradiso in terra, in realtà, non è stato sempre un paradiso, e non per tutti.
C’è stato un tempo, infatti, in cui l’isola, per il fatto di essere appunto circondata dal mare, e per il fatto quindi di prestarsi fisicamente allo scopo, fu un confino politico.
Il ‘confino’ era una misura preventiva prevista dall’ordinamento giuridico del Regno d’Italia, non promulgata anche in Repubblica in quanto incostituzionale.
In sostanza, le persone ritenute (dietro denuncia o anche d’ufficio) ‘sospette’ o ‘predisposte’ per compiere un reato venivano inviate al confino senza un processo penale e senza una condanna allo scopo di prevenire l’attuazione del reato stesso.
Una sorta di ‘processo alle intenzioni’.
Una misura di questo genere era stata introdotta già nel 1863 dalla legge Pica (promulgata poi nel 1865 con la Legge Lanza e nel 1889 con il Testo unico di pubblica sicurezza): si chiamava ‘domicilio coatto’.
Con il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Legge n. 1848 del 6 novembre 1926) il ‘domicilio coatto’ si modificò in ‘confino’.
E se inizialmente il confino fu uno strumento di controllo sociale, dove spedire omosessuali, sotto il regime fascista venne applicato a scopi politici: dissidenti, comunisti, socialisti, e tutti coloro che non erano allineati al regime, erano potenzialmente pericolosi. E andavano allontanati, messi in condizione di non fare danno. Era nato il ‘confino politico’.
Sotto il regime fascista in Italia i luoghi di confino politico erano addirittura centinaia, la maggior parte dei quali concentrati nelle isole del Sud Italia: Ustica, Tremiti, Pisticci, Ponza, Ventotene, Lipari, Pantelleria, Lampedusa, Favignana, solo per citare i più numerosi.
A Ponza il confino venne istituito nel 1928 con l’arrivo dei primi confinati che vennero alloggiati nel carcere penale borbonico.
Successivamente gli esiliati trovarono alloggio negli edifici del centro, anche se era comunque consentito muoversi in uno spazio ristretto (tra il tunnel di Sant’Antonio attiguo a via Dante, la contrada Guarini e la contrada Dragonara).
I confinati giungevano a Ponza in piccoli gruppi, incatenati fra loro. L’impatto con la nuova vita era devastante. Oltre alla promiscuità nei cameroni, si dovettero adattare alla precarietà dei rifornimenti, alle angherie dei militi, alla mancanza di comunicazioni, alla fame e alla noia. Nonostante le privazioni, i confinati organizzarono biblioteche, mense autogestite, attività artigianali, corsi di studio.
Così descrive la vita sull’isola Alfredo Misuri, confinato dal 1930:
«La sola passeggiata da automi sull’arco di cerchio della via principale, percorsa da un capo all’altro cinquanta volte al giorno, ove si incontravano cinquanta volte le stesse persone che facevano come noi.»
Ponza accolse personaggi come Sandro Pertini, Giorgio Amendola, Lelio Basso, Pietro Nenni, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Zaniboni e tanti altri, insieme a esponenti slavi e greci, ras etiopici e indipendentisti libici.
Nel 1939 tutti i confinati politici vennero trasferiti a Ventotene, mentre nel 1942 vennero inviati a Ponza prigionieri greci, albanesi e slavi.
Nel 1943, dopo la caduta del fascismo, per ironia della sorte Mussolini venne condotto prigioniero proprio a Ponza, dove restò dal 27 luglio al 7 agosto.
Questa la storia.
Del trasferimento dei confinati a Ventotene Sfizi.Di.Posta se ne occuperà prossimamente con un altro ‘sfizio’.
Mentre, chi volesse ulteriormente approfondire le storie dei confinati e della vita a Ponza negli anni del confino, suggerisco la lettura del sito istituzionale del Comune di Ponza, la tenerissima storia di Maria Picicco, la mamma di tutti i confinati, e soprattutto “Ponza racconta”, un sito web con oltre 250 contributi su questi argomenti.
E in tutto ciò si inseriscono i due pezzi che voglio mostrare oggi. Due missive diverse l’una dall’altra, ma che riguardano lo stesso luogo, la stessa storia.
La prima (temporalmente parlando) è una busta (priva di contenuto, purtroppo) inviata da Ponza a Novara il 7 aprile 1934. Come è facile osservare dal bollo postale in partenza, Ponza ricade nella provincia di Napoli. Come mai?
Con il Regio Decreto Legge n. 1682 del 4 ottobre 1934, e con decorrenza dal 18 dicembre 1934, venne istituita la provincia di Littoria e in essa vennero accorpati i comuni di Ponza e Ventotene che fino ad allora avevano fatto parte della provincia di Napoli.
Questa variazione non piacque affatto agli isolani, ‘napoletani’ per estrazione e cultura. Il malcontento si fece sentire con forza, tanto che il governo dovette fare un passo indietro, e con Regio Decreto Legge n. 1373 del 27 giugno 1935 sancì il distacco dei comuni di Ponza e Ventotene e la loro riaggregazione alla provincia di Napoli.
Mussolini aveva modificato i confini della provincia di Forlì (sua provincia natale) pur di includere in essa le sorgenti del Tevere, così da giustificare la ‘romanità’ che era in lui, figuriamoci se poteva lasciare il Lazio senza nemmeno un’isola!
E quindi con il Regio Decreto Legge n. 658 del 22 aprile 1937 le due isole vennero riportate in provincia di Littoria.
Ma quel che più ci interessa di questo primo pezzo è il bollo in basso a sinistra:
DIREZ. COLONIA
CONF. POLITICO PONZA
VERIFICATO PER CENSURA
Altro non è che il bollo di censura della corrispondenza in arrivo e in partenza dal confino politico di Ponza. Perché, è evidente e scontato, la posta per e dai confinati andava controllata.
Il secondo pezzo che presento oggi è una cartolina postale da 30 centesimi, la più utilizzata durante il Regno d’Italia, sovrastampata però Црна Гора in caratteri cirillici, ovvero CRNA GORA (in serbo), MONTENEGRO.
Quest’area nell’aprile 1941 subì l’occupazione italiana e in conseguenza di ciò venne creato il ‘Regno di Montenegro’, uno stato fantoccio con reggenza fascista. Nel settembre 1943, e fino al novembre del 1944, l’area fu sotto il controllo militare tedesco.
Questa cartolina venne spedita da Cetinje (Cettigne) l’8 aprile 1943 con destinazione Ponza. E’ indirizzata a:
Signor Вοšrо Radanovic
Posta internati civili di guerra
Ponza Provincia Littoria
Italia
Uno degli slavi catturati e inviati nell’isola a partire dal 1942.
All’arrivo a Ponza, infatti, la cartolina venne controllata dalla censura, e quindi bollata con il timbro circolare “DIREZIONE COLONIA CONFINO PONZA”.
Ne trascrivo il contenuto.
«Cetigne 5-IV.
Carissimo Вοšrо,
da te non abbiamo ancora nessuna notizia. Siamo tutti bene, me molto triste che tu sei lontano da noi.
Bambini vanno a scuola ogni giorno.
Ti prego di scrivermi più spesso e da farmi sapere come state.
Tutti mandano molti saluti e noi te abbraciamo.
Naye, Jovo, Olga»
Ma, probabilmente, Вοšrо non poteva scrivere. Chissà se riabbracciò mai i suoi figli che ogni giorno andavano ligi a scuola…
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