La storia che sto per raccontarvi affonda le sue radici alla fine dell’800, e precisamente tra il 1896 e il 1897.
E riguarda il grande pittore Giuseppe Casciaro.
Per chi non lo conoscesse, Casciaro nacque a Ortelle (Lecce) il 9 marzo 1863. Terminati gli studi scolari, si iscrisse all’istituto di Belle Arti di Napoli dove frequentò con profitto i corsi di Gioacchino Toma, Stanislao Lista, Domenico Morelli e Filippo Palizzi.
Viaggiò molto, tra il 1892 e il 1896, e le sue frequentazioni parigine gli fecero conoscere gli schemi compositivi degli Impressionisti.
Produsse alcuni dipinti ad olio, ma la sua tecnica prediletta fu il pastello.
Fu essenzialmente un paesaggista, prediligendo vedute dei dintorni di Napoli, di Nusco (in Irpinia) e del ‘suo’ Salento.
Ben cinquantadue sue opere vennero esposte alla Mostra nazionale di Belle Arti di Milano nel 1906, in occasione dell’inaugurazione della galleria del Sempione.
Morì a Napoli il 25 ottobre 1941.
Non mi dilungo oltre. Chi vuole, in rete trova senz’altro svariate risorse.
Non molto si sa della sua vita privata.
Sicuramente, un pittore, a quell’epoca, con tutti gli annessi e connessi, doveva suscitare l’interesse dell’universo femminile.
E probabilmente, l’interesse lo suscitò.
Eccome.
La prima lettera che presento oggi è datata 6 ottobre 1896. E’ spedita da Vernole ed è diretta a Ortelle, comuni entrambi in provincia di Lecce.
E’ indirizzata all’«Egregio Signor Giuseppe Casciaro Pittore».
Qualcuno, immagino lo stesso Casciaro, ha annotato a matita «Rosaria».
Ed è infatti proprio Rosaria che scrive.
Unitamente a dei fiorellini essiccati, Rosaria scrive al suo «carissimo Peppino» una missiva lunga e appassionata.
Vale la pena riportarne il testo non tanto per le affettuosità che contiene verso l’uomo Peppino, quanto anche per alcuni passaggi che riguardano direttamente il lavoro del pittore Casciaro.
«Mio carissimo Peppino,
Ieri, mio onomastico, mi giunse la tua tanto cara lettera che non mi stanco mai di leggere, e non so esprimere come mi sento felice pensando che anche tu mi vuoi bene.
Da vicino non ebbi la forza di palesarti che t’amo, ma ora che sono lontana sento la necessità di dirti che ogni mio pensiero è a te rivolto, e chiedere che anche tu ti ricordassi sempre sempre di me. Vorrei saperti dire tutto quel che il cuore suggerisce in certi momenti, ma mi sento abbastanza debole per esprimere con parole che esso sa rivelare solo coi palpiti incessanti.
Ricordo, non so se con piacere o rammarico, i giorni passati a Castro, certo si è che pensando al nostro incontro me ne compiaccio tanto, pensando poi al nostro distacco ne sento gran pena.
Come mi ricordo le ore in cui tu assorto nelle splendide vedute te ne stavi a lavorare sui monti, ed io a guardarti dal balcone!!…
E le ore del bagno come posso obbliarle?
Quando ci sarà dato di godere ancora come allora?
Immagina come mi sono rallegrata sentendo che verrai a trovarmi in Vernole, diversamente non potremmo più vederci dal momento che mia sorella Addolorata trovasi a villeggiare in Novoli presso un mio zio, ed io sono sola in casa, perciò mi riuscirebbe impossibile il venire a Lecce. Tu in ogni modo fammi sapere in quali giorni starai a Lecce, quando verrai a Vernole e a che ora giungerai.
Ieri ritornarono le cugine Beli, e quando andai a trovarle mi parlavano di te, ma con un modo assai sospettoso. Io feci l’indiana e risposi loro con indifferenza, però Vincenzina si mostrò non convinta perché ricordava che una sera nell’accontentarti d’orecchio dicesti, si, solo quando ti domandò se volevi bene a me.
Anch’io m’ero accorta che a Castro s’erano avveduti del nostro amore, ma come potevamo, Peppino mio, nascondere la fiamma che a poco a poco, e sempre più crescente, cominciava ad agitare i nostri cuori?
Tu sei dispiaciuto perché tutto sanno che ci vogliamo bene?
Zio Gaetanino ti saluta e ti ringrazia tanto della fotografia della quale è rimasto contento, anche i gruppi ci sono piaciuti, e quando mi spedirai le altre da Napoli, se non ti è di troppo disturbo, desidererei anche le prime che mi facesti.
Gradisci i saluti di Addolorata che quest’anno non verrà a Castro.
In attesa di una tua pronta e lunga risposta ti stringo la mano e credimi sempre
Tua aff.ma Rosaria».
Hai capito, Rosaria!
Beh, mi sembra tutto molto chiaro, da non dover aggiungere commenti, no?
La seconda missiva di questo ‘sfizio’ è indirizzata sempre a «G. Casciaro».
E’ spedita da Maglie, in provincia di Lecce, il 9 ottobre 1907, un anno dopo la prima, ed è diretta a Napoli, Vomero, dove giunse alle 10 del mattino dell’indomani.
Si può notare dai bolli postali al retro che sia il bollo di arrivo a Napoli che quello del Vomero riportano entrambi l’ora. E questo avveniva in quelle località dove il traffico postale era consistente.
Tirando fuori il contenuto della busta si nota, come prima cosa, un cartoncino bianco con scritto sopra «9 Ottobre 97», ripiegato in due.
Aprendo il cartoncino, fa capolino un bigliettino di carta sul quale sono stati praticati due fori, attraverso i quali passa due volte un filo di raso che tiene stretto un mazzolino di fiori essiccati e un batuffolo di ovatta rosa.
Sul fronte del biglietto, una sola parola: «Ricordami!» e una sigla che non sono riuscito a identificare.
Chi è la donna che scrive a Casciaro nel 1897?
E’ sempre Rosaria?
O qualcun’altra?
A giudicare dalle due grafie sembrano essere due donne diverse.
La “R” di “Ricordami” è totalmente diversa dalla “R” di “Rosaria”, la firma in calce alla prima lettera.
E se così fosse, Rosaria che fine fece nella vita del grande pittore?
Non lo sapremo mai. E, in fin dei conti, non è poi così importante, fa parte della vita privata di una persona, che sia il grande pittore Casciaro o qualcun altro.
E’ curioso il bigliettino, è curiosa la storia.
E ve l’ho voluta raccontare.
Solo questo.
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