Oggi, 10 febbraio, si celebra il Giorno del Ricordo, una solennità civile istituita con la Legge n.92 del 30 marzo 2004 e che ricorda l’esodo giuliano-dalmata e i massacri delle foibe.
Ma perché si celebra proprio il 10 febbraio?
Lo scopriremo con lo ‘sfizio’ di oggi, una lettera davvero molto particolare.
La missiva venne spedita il 17.12.1946 da Aurisina (Trieste), con destinazione Napoli dove arrivò il 21.12.1946.
Il mittente utilizzò una busta per la Posta Aerea, oltretutto con riferimenti all’inoltro via Ala Littoria, il servizio svolto dalla compagnia aerea voluta dal regime fascista ed operante dal 1934 al 1941.
Ma il servizio non era richiesto, e difatti il mittente depennò accuratamente tutti i riferimenti alla posta aerea, sia sul fronte che sul retro della busta.
La busta, infatti, è affrancata con quattro francobolli da 1 Lira, la corretta tariffa in vigore in quel momento per la lettera semplice.
Balza agli occhi, però, che questi quattro francobolli sono sovrastampati con le lettere A.M.G.V.G., ovvero “Allied Military Government – Venezia Giulia“.
Per capire di che si tratta, occorre ricordare il contesto storico in cui ci troviamo.
Il 12 giugno 1945, a seguito dell’accordo di Duino, le truppe jugoslave di Tito abbandonarono Trieste e le altre zone giuliane ritirandosi ad est della linea Morgan.
Nello stesso giorno, il generale Alexander, comandante supremo degli Alleati in Italia, proclama l’istituzione della “Allied Military Government – Venezia Giulia“, con sede a Trieste, un’area di 44 comuni compresi Gorizia e Pola.
Quindi, l’A.M.G.V.G. aveva il completo controllo sull’amministrazione del territorio, compresa l’amministrazione postale, nello specifico operata dal responsabile per le comunicazioni, il maggiore Charles I. Turner.
I primi mesi l’operatività era ridotta, sia per quanto riguarda le destinazioni (solo entro l’A.M.G.V.G.) che per quanto riguarda i servizi (solo lettere, cartoline e raccomandate), ma alla fine del 1945 la quasi totalità dei servizi fu operativa.
Il Governo Alleato, inoltre, dispose l’uso di propri francobolli da realizzarsi mediante la soprastampa “A.M.G.-V.G.” sui valori postali italiani ordinari, operazione che venne eseguita dalla tipografia Fortuna di Trieste, e che ebbero corso sino al 1947.
E’ pertanto più che regolare l’uso di tali francobolli nella nostra missiva del 1946.
Sulla busta possiamo anche scorgere un bollo triangolare alleato “ROUTED VIA ACCO” con il numero 66 al centro.
Si tratta di un bollo di controllo dove l’acronimo ACCO sta per “ALLIED CENSOR CONTROL OFFICER“. Ma non significa che la busta venne controllata dalla censura, anzi, tutto l’opposto.
Il bollo, infatti, veniva apposto su quella corrispondenza che a prima vista non doveva essere aperta e censurata. In poche parole, l’apposizione di quel bollo consentiva alla missiva di passare indenne dalla censura, e di raggiungere subito il canale di distribuzione postale.
Quindi, nel nostro caso, il censore n.66 osservò la missiva, decise di non aprirla, appose il bollo triangolare, e la lasciò passare.
La letteratura riporta l’uso di questo bollo a partire dal settembre 1946.
Fin qua, ciò che abbiamo raccontato è, sì, interessante, ma non c’entra granché con il 10 febbraio.
La sorpresa, infatti, è dentro la busta.
La trascrivo, anche se effettivamente è abbastanza leggibile.
«Carissimi zii
Con moltissimo piacere abbiamo ricevuto la vostra carissima lettera del 4-12, e siamo tutti molto dispiaciuti per la malattia a Zio, però voglio sperare che quando questa mia lettera vi giungerà lo troverà di nuovo in salute e nel suo lavoro come prima.
Nonna stà sempre bene di salute, come pure me e mamma.
Io sono come al solito sempre disoccupato, e mamma lavora sempre lì, e fa una vita da cani, moltissimo lavoro, senza avere mai neanche mezza giornata libera.
Qui a incominciato a fare un po’ di freddo, bora a 200 km al ora e 5° sotto zero, fortuna che mamma ci à procurato un paio di sacchi di polvere di carbone fossile dalla polizia, e con quello tiriamo avanti, altrimenti non sò come avremmo fatto a riscaldarci quest’inverno, dato che adesso in bosco a tagliare legna non si può piu andare, senza il rischio di pigliarsi qualche grossa multa, ed i prezzi della legna sono esorbitanti, come in genere tutto il costo della vita. La disoccupazione e pure in aumento e per naturale conseguenza anche la miseria: però adesso le nostre speranze sono tutte rivolte al 10 febbraio, giorno deciso per la firma dei trattati di pace e noi speriamo che dopo questa data si comincerà a migliorare la nostra situazione, con questa forma di statuto internazionale che àn’ voluto darci.
Ora termino questa chiacchierata salutandovi tanto, e augurandovi un buon Natale assieme ad un buon Capodanno.
Vostri aff.
Nonna mamma Carletto
N.B. Nonna che vuol sapere sempre più di qualsiasi specialista medico o chirurgo mi raccomanda caldamente di dirvi che tutto il male di Zio non è altro che efetto “moroidiale” e l’unico rimedio sono le pillole di Brera.»
Per curiosità, sono andato a cercare su Internet queste famose “pillole di Brera”. Ebbene, d’accordo che gli adulti hanno sempre ragione, ma la nonna ci aveva proprio azzeccato!
Le “Pillole di Brera” erano un medicamento con effetto lassativo a base di aloe, tartrato di ferro e di potassio, gomme e resine vegetali (mirra e incenso), da assumersi la sera, durante il pasto o con qualche bevanda calda.
Erano prodotte dalla famosa Farmacia di Brera, in Via dei Fiori Oscuri 13 a Milano, una delle farmacie più antiche d’Italia (1699!).
Ma al di là del lassativo (che ci fa anche sorridere), quel che davvero più ci interessa è quanto abbiamo letto della situazione economica e sociale di quel periodo, e delle speranze riposte verso quel 10 febbraio, quel giorno in cui si sarebbero firmati i trattati di pace.
Così infatti fu.
Il 10 febbraio 1947 venne firmato a Parigi il trattato di pace tra l’Italia, nazione sconfitta nella Seconda guerra mondiale, e gli Alleati vincitori.
Per molti non si trattò di un “trattato”, nel senso letterale del termine. L’Italia non poté “trattare”. Fu, più che altro, di una sorta di diktat che l’Italia ebbe a subire senza possibilità di appello.
Con esso l’Italia perse tutte le sue colonie (Africa, Grecia, Albania, Tientsin), alcuni comuni al confine con la Francia (Tenda, Briga, etc), e tutti i suoi territori in Dalmazia, Fiume e Istria.
D’un tratto, terre italiane e abitate da Italiani si ritrovarono fuori dai confini nazionali.
E, nel caso specifico delle terre dell’Adriatico orientali, “in pasto” al maresciallo Tito e alle legislazioni jugoslave, quello stesso Tito e quella stessa Jugoslavia che si erano macchiati, dal 1943 in poi, di eccidi inenarrabili quali i massacri delle foibe.
Per molti Italiani fu l’inizio della fine.
350.000 Italiani dall’oggi al domani persero tutto, e dovettero scappare, letteralmente, da casa propria.
Ecco perché il Giorno del Ricordo si celebra il 10 febbraio.
Mi fermo qui. Chi volesse approfondire certi temi lo può fare tranquillamente cercando sulla rete o con le associazioni dell’esodo.
A me, però, rimane un grande magone. Al di là delle speranze e delle aspettative tradite, il mio pensiero va a quella mamma che, con tutte le difficoltà di quel momento, si ammazzava di lavoro per far andare avanti la propria famiglia. Immagino la sua dignità, il senso del dovere, del rispetto. Valori di una volta che ho rivisto in tante gente del quartiere dove ho casa, al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma.
Persone che hanno tanto da insegnarci.
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