La storia si scrive con i racconti ma anche e soprattutto con i pezzi di carta.
E tra i pezzi di carta ci sono senz’altro le lettere.
Chi segue da tempo Sfizi.Di.Posta ha sicuramente fatto proprio questo concetto.
E proprio tra quei pezzi di carta potremmo annoverare il pezzo che presento oggi.
Si tratta di una ‘prefilatelica’ (ovvero di una missiva spedita in un’epoca in cui i francobolli non erano ancora stati ‘inventati’) spedita nel 1833 dalla Polizia di Scandiano, città della provincia di Reggio Emilia, indirizzata al giusdicente della città.
Non vi sono segni di posta sul piego esterno, il che potrebbe farci dubitare che, per viaggiare, abbia effettivamente utilizzato i canali postali. E’ possibile, ma non possiamo esserne certi.
Personalmente, propendo per la consegna a mano privatamente.
In ogni caso, sia il bollo della Polizia di Scandiano che la sigla “D’uff.“, a indicare “D’ufficio” in basso a sinistra, indicano senza possibilità di errore che la missiva, se ha utilizzato il canale postale per il suo viaggio a destinazione, non doveva essere tassata. E difatti non lo è.
Fin qua nulla di speciale. Sebbene questa missiva abbia 190 anni, pieghi di questo genere se ne trovano abbastanza di frequente.
Quel che davvero è interessante, appunto, è all’interno.
La Polizia di Scandiano riferisce su due individui. Il primo:
«Riscontrando il pregiato […] le significo che a carico di Luigi Badeschi […] di questa terra risulta che al 22 aprile 1816 venne dalla Polizia Provinciale precettato a non recarsi nelle osterie se non in circostanza di ragionevole viaggio e di ritirarsi alla propria abitazione all’Ave Maria della sera rimanendovi fino a quella della mattina sotto pena di due mesi di carcere, precetto che venne però in via d’esperimento sospeso nel maggio 1831. Le di lui qualità morali parimenti non sono esenti da qualche traccia d’eccezione.»
Insomma, evidentemente il Badeschi nelle osterie alzava un po’ il gomito…
Ma per comprendere compiutamente il precetto comminato al Badeschi occorre ricordare che la misurazione del tempo come avviene oggi non avveniva in passato.
Oggi con l’avvento dell’elettricità e con la misurazione del tempo non ci si bada più, ma un tempo quando non c’erano gli orologi o la lampadina elettrica a illuminare le abitazioni il tempo era scandito semplicemente dall’andirivieni del giorno e della notte, ovvero del sole.
Il giorno, quindi, non iniziava a mezzanotte, come oggi, ma al tramonto: quello era lo scoccare del giorno dopo.
E al tramonto, mezz’ora o tre quarti d’ora dopo, si recitavano le preghiere e poi si andava a letto.
L’Ave Maria della sera, quindi, non veniva recitata ad un orario ben preciso, ma variabile come varia ancora oggi l’ora del tramonto: potevano essere le 17.00 a dicembre oppure le 20.30 a luglio, ma il Badeschi una volta tramontato il sole doveva recitare le preghiere e andarsene a letto a dormire, e non a scalmanarsi nelle osterie.
Occorre tenerne conto. In un articolo dell’Osservatore Romano di qualche anno fa si riportano alcuni esempi.
Quando, il 29 gennaio 1578, si scrive che la clarissa suor Serafina del monastero di Monteluce di Perugia rese l’anima a Dio «la sera a un’hora di notte», si intende un’ora dopo l’Ave Maria, e cioè intorno alle 18.00.
Nello stesso monastero, il 7 novembre 1587, suor Angelina «passò di questa vita presente alla migliore il venerdì a sera fra le due e tre hore», cioè due o tre ore dopo l’Ave Maria, cioè tra le 19.00 e le 20.00.
Ma torniamo alla nostra lettera, e leggiamo che scrive la Polizia di Scandiano sul secondo individuo.
«Quanto a Petronio Casoli, parimenti di Scandiano, non riscontro altro pregiudizio politico a di lui carico che quello di aver seguito le truppe ribelli sotto il comando dell’ex Generale Zucchi in Romagna, essendo pel rimanente sgrava da eccezioni la di lui condotta sia politica che morale.»
E qui si apre un’importante finestra sulla storia. Chi è l’ex Generale Zucchi? Riporto la biografia che ne fa la Treccani.
«ZUCCHI, Carlo. – Generale napoleonico, nato a Reggio Emilia il 10 marzo 1777, ivi morto il 31 dicembre 1863. A 19 anni era sottotenente in un battaglione di volontari reggiani; a 26, capo battaglione nell’esercito cisalpino; a 32, generale di brigata; a 34, ispettore generale della fanteria del Regno Italico. Dopo la battaglia della Raab (1809) in ricompensa della sua gloriosa azione fu da Napoleone nominato barone dell’Impero. Prese parte alla campagna del 1813, durante la quale ebbe il grado di generale di divisione; e alle successive campagne del 1814 in Italia sotto il viceré Eugenio. Caduto Napoleone, passò per breve tempo all’esercito austriaco, dal quale presto si ritirò. Accusato di segrete intese con i liberali piemontesi, fu imprigionato nel 1823.»
Ma Zucchi viene ricordato maggiormente per un altro episodio militare, che è appunto quello a cui si riferisce la nostra lettera.
Nel 1820-21, prima in Spagna e poi in diversi stati europei si diffuse un sentimento di insurrezione verso i regnanti locali.
Sedate le rivolte, lo stesso spirito insurrezionalista ritornò prepotente dieci anni dopo, nel 1830-31. Stavolta fu la Francia a dare il via ai moti, mentre per quanto riguarda l’Italia fu il ducato di Modena a ribellarsi contro lo Stato Pontificio.
Nello stato estense fu Ciro Menotti a capo della carboneria locale ad aizzare la borghesia contro il predominio papale, e quando il 3 febbraio 1831 venne arrestato la rivolta scoppiò feroce. Due giorni dopo gli insorti dichiararono la secessione dallo Stato della Chiesa delle Legazioni di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì.
L’esercito austriaco venne in soccorso del Papa, e nel giro di qualche settimana le rivolte vennero sedate e l’ordine ristabilito.
Nell’ambito di questi scontri si ricorda la “Battaglia delle Celle”. Il 25 marzo 1831 l’esercito austriaco composto da 5000 uomini si scontrò contro 1500 volontari italiani comandati dal generale Carlo Zucchi.
Lo scontro si concluse col sopraggiungere della sera, ma l’indomani le truppe insorte, per evitare un inutile spargimento di sangue, dichiararono la resa avendo compreso la forza del nemico austriaco.
Tra i volontari che presero parte alla Battaglie delle Celle si ricordano Manfredo Fanti (nientemeno che il futuro fondatore del Regio Esercito), Enrico Cialdini (il controverso generale figura protagonista nella lotta al brigantaggio post-unitario), Nicola Fabrizi (poi generale d’armata con i Mille di Garibaldi) e Celeste Menotti (fratello di Ciro).
E il ‘nostro’ Petronio Casoli di Scandiano.
Quanta storia in una lettera apparentemente banale!
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