Le amministrazioni postali nacquero per gestire la corrispondenza. Ma molto presto ci si accorse che, accanto alla corrispondenza, un’altra importante voce poteva generare reddito, tanto reddito: i servizi a denaro.
Parliamo di vaglia postali, casse di risparmio postale, servizio riscossioni, conti correnti postali, pensioni, buoni postali fruttiferi: tutti questi servizi oggi costituiscono da soli circa la metà dei ricavi totali dell’ente postale italiano.
Il primo servizio in assoluto di questo genere ad essere reso disponibile per gli utenti fu il vaglia postale. Adottato dal Regno di Sardegna già nel 1849 sull’esempio francese, venne mantenuto ed anzi incentivato (con l’introduzione di particolari forme di vaglia per soddisfare esigenze specifiche) anche con l’Unità d’Italia.
Una delle caratteristiche che rendeva interessante l’uso del vaglia era la possibilità, sempre mantenuta nel tempo, di accludere un messaggio scritto al destinatario senza dover pagare alcuna tassa aggiuntiva.
Una delle forme di vaglia più interessanti è la Cartolina Vaglia, introdotta con Legge n.6889 del 10 giugno 1890. Emesse in vari tagli, da 1 a 20 Lire, avevano lo scopo da facilitare e velocizzare l’espletamento del servizio di trasferimento del denaro.
Le cartoline potevano essere integrate con 99 centesimi, per trasferire somme non a cifra intera, applicando francobolli per analogo importo nella parte bassa della cartolina stessa. Quindi, se si volevano trasferire 10.45 Lire, era sufficiente acquistare una cartolina da 10 Lire e quindi applicare in basso un francobollo da 45 centesimi.
E’ interessante notare che i francobolli utilizzati per l’integrazione perdevano così la loro funzione postale per assumere esclusivamente quella monetaria.
Proprio una cartolina vaglia è la protagonista della storia che racconteremo oggi.
Venne spedita il 27 novembre 1893 da Lucera, provincia di Foggia, ed era diretta a Napoli dove arrivò il 21 dicembre dello stesso anno.
E’ una cartolina vaglia dal valore di 8 Lire e manca della ricevuta a lato dove il mittente poteva scrivere un messaggio al destinatario. Manca perché regolarmente staccata e consegnata al destinatario, chiaramente.
Il mittente è Pietro Pepe, seminarista a Lucera.
Le fonti non concordano su una data precisa, ma sembrerebbe certo che il seminario vescovile di Lucera venne fondato all’inizio del XVIII secolo sotto il Vescovo Domenico de Liguori (Giambattista D’Amelj, “Storia della città di Lucera“. Tipografia di Salvatore Scepi, Lucera, 1861).
Con sede in via Blanch n.11, il seminario vescovile di Lucera si caratterizza in particolare per la ricca biblioteca che vanta circa 15.000 volumi tra cui spicca il fondo antico costituito da un centinaio di cinquecentine e circa 150 seicentine, ovviamente principalmente a carattere filosofico e teologico.
E a chi invia le otto lire il nostro seminarista di Lucera?
All’abate Giuseppe Prisco (che, tra l’altro, firma la ricezione al verso della cartolina), presso la Strada Banchi Nuovi – Vico Pazzariello N.16, Napoli.
Indicazioni che a prima vista non suscitano alcun interesse, ma che invece nascondono una storia tutta da raccontare.
L’abate Giuseppe Prisco altri non è che Giuseppe Antonio Ermenegildo Prisco, nato a Boscotrecase l’8 settembre 1833 e morto a Napoli il 4 febbraio 1923, eminente cardinale italiano di Santa Romana Chiesa.
Ordinato sacerdote il 20 settembre 1856, venne poi nominato Cardinale diacono di S. Cesareo in Palatio da Papa Leone XIII il 3 dicembre 1896, ed eletto Arcivescovo di Napoli il 24 marzo 1898.
Era uno spirito libero amante della verità: nominato professore di filosofia all’Università di Napoli, perse il posto nel 1860 per essersi rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà al governo.
Teneva quindi lezioni di filosofia di diritto agli studenti di giurisprudenza nella sua casa al civico n. 16 di Vico Pazzariello ai Banchi Nuovi, all’indirizzo indicato nella cartolina, nei pressi dell’Università. Tra i suoi alunni, spicca la presenza di Benedetto Croce.
In seguito, fu professore di diritto razionale all’Ospizio Ecclesiastico di Maria a Napoli. Nel 1879 occupò la cattedra di filosofia morale al collegio interdiocesano di Tarsia. Canonico del capitolo della cattedrale di Napoli nel 1886. Membro dell’Accademia S. Tommaso a Roma, e socio dell’Accademia della Religione, sempre a Roma. Prefetto degli studi del Seminario Arcivescovile di Napoli nel luglio 1886. Esaminatore del clero. Superiore ecclesiastico del Conservatorio di S. Monica, Napoli. Delegato ecclesiastico per i lavori dei Congressi cattolici e del Circolo degli interessi cattolici.
E potrei ancora continuare.
Questo per comprendere il suo grande impegno nell’insegnamento e la moltitudine di attività che svolgeva.
Vero restauratore della Chiesa, diede grande impulso anche a numerose iniziative e opere sociali.
Fondò, diresse e collaborò con tantissime riviste, anche scientifiche, riorganizzò la biblioteca arcivescovile, e fondò l’Accademia di Sacra Eloquenza affinché i sacerdoti conoscessero la parola di Dio prima di predicarla. Intervenne come consolatore nel terremoto calabro-siculo del 1908, nell’incendio del Monte di Pietà, offrì ospitalità ai sopravvissuti dell’eruzione vesuviana del 1906 (la lava del Vesuvio invase anche la sua cittadina natia), intervenne nell’epidemia di colera del 1910, e fu largo di aiuto al popolo durante la Prima guerra mondiale.
E anche per questi aspetti potrei continuare.
Insomma, senza il cedolino della cartolina-vaglia, dove probabilmente era annotata la causale del versamento, non sapremo mai con esattezza il motivo per cui il nostro seminarista di Lucera inviò 8 Lire al futuro cardinale, ma probabilmente il motivo è legato ad una delle tante attività svolte dall’abate.
Sulla scorta del risultato ottenuto dal calcolatore fornito da Il Sole 24 Ore, che a sua volta si basa sui dati Istat, 8 lire nel 1893 equivarrebbero agli odierni 35 Euro, per cui con quell’importo ci si poteva pagare l’abbonamento annuale a una rivista, una lezione privata, una tassa scolastica.
Chissà!
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