La cifratura e/o la segretezza della comunicazione, a causa dei più svariati motivi, è stata da sempre (da quando l’uomo ha imparato a comunicare e a scrivere) al centro delle necessità umane.
Basti pensare, ad esempio, che nel V secolo a.C., per inviare un messaggio segreto di grande importanza militare dalla Persia in Grecia, lo scrissero sul cuoio capelluto di un corriere con la testa rasata. Quando al corriere gli ricrebbero i capelli, partì, eludendo così le guardie persiane. Giunto a destinazione, si fece rasare la testa, e il messaggio apparve.
L’episodio (macchinoso, fantasioso, ma efficace) è raccontato da Simon Sigh, nel suo “Codici & Segreti”, un volume che tratta la storia affascinante dei messaggi cifrati dall’antico Egitto a Internet.
Ma sistemi analoghi possiamo trovarli ovunque e in qualsiasi tempo. Pensiamo alla macchina Enigma inventata dai Tedeschi nella Seconda guerra mondiale per inviare messaggi cifrati, ma pensiamo anche ai geroglifici egiziani, o (venendo ai giorni nostri) alle app per nascondere messaggi e conversazioni su Messenger o Whatsapp.
Ovviamente, anche la posta, mezzo per eccellenza per l’inoltro delle comunicazioni, non poteva essere esente da questo argomento.
E, chiaramente, di centrale importanza assumeva l’utilizzo di inchiostri cosiddetti ‘simpatici’ apparentemente invisibili che apparivano sul foglio tramite appositi reagenti.
Tecniche del genere si conoscono addirittura dal IV secolo a.C., e venivano utilizzate soprattutto per tenere nascoste relazioni clandestine o messaggi privati, oppure in situazioni di necessità dai carcerati e dai confinati per eludere la censura.
C’era, però, anche un’altra motivazione per nascondere un messaggio: per risparmiare.
Sino a non molto tempo fa, infatti, per lo stesso mezzo postale (ad esempio, una cartolina) erano previste più tariffe per l’affrancatura.
Ad esempio, prendiamo il tariffario postale per il periodo 1.1.1950 al 31.7.1951.
In quei mesi, spedire una cartolina costava 15 Lire.
Ma se si scrivevano sino a cinque parole costava 6 Lire.
E se si scriveva solo la firma, allora costava solo 5 Lire.
Un risparmio enorme! Un terzo!
Si escogitò quindi un sistema dove però, ovviamente, mittente e destinatario dovevano essere d’accordo e complici: scrivere la sola firma o cinque parole, e poi nascondere un messaggio più articolato sotto al francobollo. Così, il mittente poteva affrancare con 5 o 6 Lire, anziché con 15, e il destinatario, una volta ricevuta la cartolina, scollava il francobollo e leggeva il messaggio nascosto.
Scaltri, vero?
E’ questo il caso del documento postale di oggi, una cartolina spedita il 20 gennaio 1953 da Forno Canavese a Torino.
In quel momento la differenziazione delle tariffe postali era stata da poco abolita, con Decreto del Presidente della Repubblica n.582 del 29.6.1951 (in vigore dall’1.8.1951), e la cartolina illustrata presentava ormai una tariffa unica.
Ma il mittente, evidentemente, non ne era a conoscenza, e ritenendo di procedere con la frode postale inserì ugualmente il suo messaggio sotto al francobollo:
«Maria Pia l’indirizzo non lo sa, cosa vuoi farci, è così. DONATA.»
Il destinatario è un’educanda dell’Istituto Sant’Anna di via Massena, a Torino. L’istituto ha una gloriosa storia che affonda le sue radici nel lontano 1877 come diretta emanazione dell’opera caritatevole svolta dal 1834 dalla Congregazione delle Suore di Sant’Anna.
Sicuramente, la signorina Mariangela, il destinatario della cartolina, riceveva in quell’istituto un’educazione religiosa e ligia delle regole.
Ma certamente, con la sua amica Donata, la signorina Mariangela fu ben educata anche a come frodare con successo la posta.
Ovviamente, ho oscurato il cognome.
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