Abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini che i telegiornali hanno trasmesso a partire da martedì scorso, 9 novembre, quando un terremoto di magnitudo 5.5 ha colpito il centro Italia, con epicentro sulla costa pesarese.
Rispetto all’energia sprigionata, il sisma, essendo avvenuto a profondità di circa 5 km e alla distanza di circa 30 km da Fano e 35 km da Pesaro, ha provocato lievi danni e fortunatamente nessuna vittima o ferito.
La zona, però, non è nuova a fenomeni sismici, come del resto tutte le regioni interessate dall’asse appenninico che, di per sé, esiste in quanto conseguenza del contatto tra la placca africana a Est e quella euro-asiatica a Ovest.
In particolare, un importante precedente in epoca recente è il sisma del 30 ottobre 1930 che fece registrare una magnitudo di poco più forte, 5.8, e che avvenne sempre a mare, al largo di Senigallia e a una profondità di circa 15 km.
Allora i danni furono ingenti, tanto da determinare un’intensità di grado IX della scala Mercalli (che, ricordo, si basa solo sugli effetti di un sisma, non sulla sua energia).
Nella sola Senigallia, che fece registrare 14 delle 18 vittime in totale, più di 300 edifici crollarono e altri 2.000 subirono gravi lesioni.
Le altre 4 vittime si registrarono ad Ancona dove furono oltre 400 gli edifici crollati o lesionati.
Tra quegli edifici inagibili di Senigallia vi era anche quello di Angelina, protagonista del documento postale che voglio mostrarvi oggi, una cartolina (con un panorama di Albacina, una frazione del Comune di Fabriano, irrilevante ai nostri fini) spedita da Fabriano l’8 novembre 1930, nove giorni dopo il sisma, e indirizzata a Milano.
Il mittente scrive:
«Carissima Gina, siamo salvi per miracolo, ma Senigallia è quasi distrutta! …Ci siamo rifugiati qui a Fabriano presso il Dott. Laureati perché a Senigallia non vi sono più case abitabili! Non so darti un’idea dello spavento e del grave disastro. Cari baci a tutti, aff. Angelina.»
Che sconforto!
Che paura!
Le parole di Angelina sono più che esplicite e descrivono più che bene la devastazione presente a Senigallia dopo il terremoto.
A favore della popolazione marchigiana colpita dal sisma del 30 ottobre vennero adottate misure analoghe a quelle previste per i terremotati del Vulture (il 23 luglio di quello stesso anno un sisma di magnitudo 6.6 aveva provocato morte e distruzione nelle provincie di Benevento, Avellino e Foggia).
Con Regio Decreto-Legge 10 novembre 1930, n. 1447, “Provvedimenti a favore dei danneggiati dal terremoto del 30 ottobre 1930” (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.268 del 18.11.1930) vennero definiti i sussidi di Stato per la ricostruzione.
Inoltre, come per il Vulture, venne concessa al Ministero dei lavori pubblici la possibilità di costruire nuovi insediamenti abitativi quando fosse impossibile ricostruire nello stesso luogo, le cosiddette “casette asismiche” già previste dall’Art.1, comma e, del Regio Decreto-Legge 6 novembre 1919, n. 2241 (Gazzetta Ufficiale n.292 del 11.12.1919) a favore dei terremotati del 13 gennaio 1915.
Rispetto al Vulture, a Senigallia l’esperienza delle casette asismiche non ebbe però lo stesso seguito perché, esclusi i più ricchi che si erano rifugiati nelle ville a mare di loro proprietà (la costa non subì molti danni), molti dei meno abbienti (temporaneamente ospitati nelle colonie marine del litorale), quando le casette asismiche furono pronte per essere loro consegnate, rifiutarono a causa degli affitti elevati e della lontananza dal centro urbano.
E chissà se Angelina fu tra coloro che rifiutarono.
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