NELLA CARTOLINA PICCOLA C’E’… IL VINO BUONO?

NELLA CARTOLINA PICCOLA C’E’… IL VINO BUONO?

Nella botte piccola c’è il vino buono.
Quante volte abbiamo sentito questo proverbio, magari nell’occasione di consolare una persona di bassa statura?
Luogo comune? Tutt’altro.

Già dall’Ottocento è noto che il vino, se maturato e affinato in botti di legno, assume aromi e profumi particolari che i cultori chiamano sentori terziari o note da evoluzione.
Questo perché il legno permette l’ossigenazione (grazie alla sua porosità, alle doghe e al cocchiume, il foro centrale) e perché tende a cedere i suoi aromi e tannini.

Quindi avremo botti di quercia (o rovere), castagno, acacia o gelso, e ognuna di esse donerà al vino particolari aspetti aromatici identificativi: caffè, vaniglia o caramello nelle botti di rovere, muschio e resine nelle botti di castagno, giusto per fare un esempio.

Va quindi da sé che più piccola è la botte, minore è la quantità di vino che possiamo depositarvi, e maggiore è il contatto che il vino avrà con il legno.
Di conseguenza, un vino maturato in botti piccole sarà più carico di aromi e tannino dello stesso vino maturato in botti più grandi, nello stesso periodo di tempo.
E di conseguenza “più buono”.

Questa locuzione, quindi, può essere applicata a qualsiasi cosa?
Forse sì.
La risposta ce la fornisce il documento postale protagonista di questo sfizio: una cartolina spedita da Campobasso il 10 luglio 1903 e diretta a Sant’Elena Sannita (provincia sempre di Campobasso).

Vi sarete già accorti della forma strana di questa cartolina: con le sue dimensioni di 4,4 x 13,6 cm sembra più un segnalibro che una cartolina.
Ma l’avranno ritagliata da una cartolina di dimensioni standard? Per nulla.

Se infatti osserviamo con attenzione al retro, noteremo una dicitura ben precisa: “CARTOLINA MIGNON”.
Esistevano anche queste cartoline mignon!
Forse un’invenzione locale? Tutt’altro.

L’editore della cartolina, N.P.G., era uno dei più importanti e rinomati al mondo.
La N.P.G. (Neuen Photographischen Gesellschaft), fondata da Arthur Schwarz nel 1894 attiva sino al 1948, era una fabbrica e casa editrice tedesca specializzata nella stampa di cartoline fotografiche postali, fotografie e stereoscopie.

In particolare era noto per la produzione su vasta scala di fotografie stampate alla gelatina bromuro d’argento grazie anche all’utilizzo della “carta a chilometro”, carta fotografica in rotoli.
Nel 1899 la società cresce vertiginosamente e apre filiali a Londra, Parigi, Roma e New York.

Chiunque avesse voluto cartoline fotografiche personali, della propria famiglia, del proprio palazzo nobiliare, sapeva che per avere un prodotto di qualità doveva rivolgersi alla N.P.G.

Chi scrive la nostra cartolina è tale Antonio, il quale annota sul lato illustrato: «Cari ed affettuosi saluti dal tuo Antonio».

Sul lato illustrato figura una donna con un magnifico vestito bianco che potrebbe essere d’organza, una discreta scollatura e una splendida collana di perle, leggiadramente appoggiata allo schienale di una meravigliosa sedia in legno intarsiato e velluto, davanti una tenda a dir poco spettacolare, e su un pavimento che sarà stato davvero incredibile alla vista.
Tutti elementi che ci dicono, inconfutabilmente, che non si trattava di una popolana, ma di una nobildonna.

E’ il periodo della Bella Epoque in cui la donna abbandona il suo ruolo di “casta e pura” e osa di più, usa corpetti aderenti per evidenziare le forme, colletti alti merlettati con stecche di giorno e profonde scollature la sera, gonne a corolla.
E gli accessori: cappellini in vari formati (in voga quelli a bordi arrotondati e con fiori), fasce per capelli, collane di perle.

Camilla Clifford, Florence Lawrence e Asta Nielsen erano veri modelli da seguire, ma anche nel nostro Belpaese non mancavano i riferimenti, soprattutto tra le nobildonne. Tra queste, in assoluto la più osservata e invidiata era Donna Franca Florio, una vera icona di stile.

In questo contesto nulla stupisce la cartolina inviata da Antonio alla Chiarissima Signorina Mariannina dei Conti De Capua che, evidentemente, per quanto detto sinora, non può che essere la donna raffigurata nella cartolina stessa.
Potrebbe mai Antonio, il “suo” Antonio, spedire alla Signorina Mariannina una cartolina raffigurante un’altra donna. Nel modo più assoluto… Ne andrebbe della sua stessa incolumità, no?

E i Conti De Capua?

Mariannina faceva parte dei Conti de Capua, famiglia feudale il cui capostipite Bartolomeo aveva ottenuto il feudo di Altavilla Irpinia da Ruggero II detto “il Normanno”, che fu Re di Sicilia dal 1130 al 1154.
Il Re donò inoltre a Bartolomeo una rendita annua di 400 once d’oro con le quali Bartolomeo poté acquistare altri feudi.

Il feudo rimase in possesso della nobile casata fino al 1793, quando Altavilla divenne comune autonomo, e il reggente della famiglia in quel momento, Bartolomeo VI, dovette cedere tutti i feudi e i palazzi al Regio Fisco.

Ad Altavilla tuttora insiste nel centro storico il magnifico Palazzo dei Conti De Capua, un imponente edificio signorile di fattura aragonese. Sembra infatti che la sua costruzione debba risalire intorno alla seconda metà del ‘500 in occasione del matrimonio del feudatario Andrea De Capua Costanza di Chiaromonte.
Palazzo che soltanto nel 2015 è tornato in possesso del Comune dopo anni di immobilismo dovuto alla gestione demaniale.

Ora… Sant’Elena Sannita (il luogo dove si trova la nostra Mariannina) dista 85 km da Altavilla Irpinia.
Ma, a parte la distanza, i due comuni si trovano anche in due aree geografiche totalmente diverse, il Sannio e l’Irpinia.
E, soprattutto, Sant’Elena venne gestita da diverse famiglie feudali (Santangelo, Montagano, Orsini di Manoppello, de Bastariis, Santomango, Marchesano, Paolella, e Tamburri di Agnone) ma non dai Conti De Capua.

Quindi, come mai Mariannina si trovava così lontana dai luoghi d’origine?
Le risposte a questa domanda possono essere tante e tutte lecite.
Di sicuro, ad Antonio non importava.

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