«Mi caro affezionatissimo amore del mio cuore gioia mia sposo del mio cuore ti scrivo oggi questa lettera per darti ogni giorno miei notizie che stamo bene fino a oggi e così spero sentire da te sempre mio tesoro del mio cuore».
Così scriveva una innamoratissima Grazia da Ragalna (provincia di Catania) ad Agatino, suo marito, artigliere a Sassari, il 7 luglio 1943, ad appena tre giorni dallo sbarco degli Alleati in Sicilia.
Perché, sì, oggi è il 10 luglio 2023, allora era il 10 luglio 1943.
Ottant’anni esatti.
Non vi è una fonte che concorda con l’altra, ma in linea generale stiamo parlando di un’operazione che ha visto coinvolti 467.000 uomini, di cui 217.000 americani e 250.000 britannici, 280 navi da guerra, 1.800 mezzi da sbarco, 2.275 navi da trasporto, 600 carri armati, 1.800 cannoni, 4.000 aerei e 14.000 veicoli.
La chiamarono Operazione Husky.
Tra il 9 e il 10 luglio di ottant’anni fa, infatti, gli Alleati sbarcarono in Sicilia, gli americani tra Gela e Licata, gli inglesi tra Pachino e Cassibile, i canadesi tra Pozzallo e Pachino, occupando svariati porti e teste di ponte da cui sviluppare l’invasione totale della Sicilia sino a Messina, e da lì risalire lo stivale.
Nell’immaginario collettivo di ciascuno di noi abbiamo impressa l’idea che fu un’operazione semplice, senza che il nemico opponesse resistenza, con i Siciliani in festa.
Non andò proprio così.
Nelle grandi città la festa ci fu, è innegabile, ma nella quotidianità dell’avanzare delle truppe avvennero svariati episodi di molestie e stupri alle donne (con l’evidente reazione dei padri, fratelli e mariti delle poverette), di rastrellamenti, anche di fucilazioni: ricordiamo episodi in tal senso a Vittoria, Licata, Gela, o l’eccidio di Acate del 14 luglio.
Non solo. Lo sbarco ebbe così grande successo perché fu preparato nei minimi dettagli grazie alle informazioni che l’esercito americano riuscì ad ottenere dai grandi boss mafiosi di Cosa Nostra, come Lucky Luciano o Vito Genovese.
La mafia ebbe un ruolo di primissimo piano, compiendo atti di vero e proprio spionaggio bellico, sia prima che durante che dopo lo sbarco. Basti pensare, ad esempio, che il boss Vito Genovese fu l’interprete personale del capo del Comando Militare Alleato che si instaurò nell’isola, Charles Poletti.
In cambio, ebbe la strada spianata non appena l’isola venne “liberata”: la mafia rientrò in Sicilia con tutti gli onori, e ripartì a ricostruire i suoi tentacoli da quel momento.
Il nemico, poi, non è vero che non oppose resistenza. Lo fecero eccome, ma dovettero soccombere di fronte all’imponenza delle truppe schierate dagli Alleati.
E che il nemico fosse ben presente nell’isola gli Alleati lo sapevano benissimo. Tra il 4 e il 9 luglio, infatti, intensificarono i bombardamenti delle città, sganciando 5.000 tonnellate di bombe, causando molte vittime tra i civili e obbligando i superstiti alla fuga nelle campagne.
Alcune fonti negano che avvennero tali e tanti bombardamenti.
Ma se un racconto può essere modificato, smussato, omesso, soprattutto quando sono i vincitori a scrivere la storia, vi è un modo oggettivo per raccontare la storia senza interferenze esterne: quando si dà voce ai documenti postali della gente comune.
Il documento di oggi, come dicevamo all’inizio, è una lettera spedita da Ragalna all’ufficio di Posta Militare n.216.
La missiva è scritta il 7 luglio 1943, ma reca il bollo postale di partenza dell’8 luglio, due giorni prima dello sbarco.
L’ufficio di Posta Militare n.216, assegnato al Comando 204a Divisione Costiera, venne costituito a Sassari il 5 maggio 1943, e operò sino al 31 luglio 1944 quando venne trasferito prima a Cagliari per pochi giorni, il 4 agosto a Napoli e infine a Baronissi (Salerno) dove operò sino al 10 settembre 1944 quando venne sciolto.
Ma torniamo alla nostra lettera di cui abbiamo già letto le prime righe, leggiamo insieme il resto (non correggo, come al solito, gli errori grammaticali).
«Dunque mio caro bene oggi tua posta non ne o ricevuto spero che domani mi riva per sentire le tuoi dolci parole scritti che mi pare che ti vedo di presenza come vedo la lettera tua. Senti ti faccio sapere che c’è stato un dispiacere che e morto il cognato di Santo il marito di sua cognata Giovannina e morto lunedi notte che hanno trovato morto eri mattina aura di alzarsi. Percio si Santo ancora non cia scritto mi non ci scrive che ormai non e il caso più di mandarci tanti ripeti come ci ha fatto sapere a sua sposa che cia detto che fra breve il Dolore che a sorfetto Santo lo doveva sofrire ella ormai la sorfetto e ci basta poveretta questo dolore perciò se tu sei alla batteria ci lo dici a Santo di non ci scrivere se vuoi dircelo ce lo dici sono affari tuoi certo che oggi Lucia non può scriverci che si trova a Belpasso non so se questa sera viene che ciantò questa mattina perché ci hanno fatto sapere eri sera, basta».
Sin qui, certo, ci dispiace per il morto, ma si tratta di questioni familiari che ai nostri fini ben poco interessano.
Quel che invece ci interessa, e pure molto, è ciò che Grazia scrive subito dopo.
«Qui avi quasi 4 giorni e notti che piove anche a Belpasso eri cianno stato sbrizzi bonazzi speriamo che non piovessi più perché queste grantini ormai fanno mali alla gente nelle suoi casi».
Credo si comprenda, ma nel dubbio trascrivo meglio il messaggio:
«Qui sono quasi 4 giorni e notti che piove anche a Belpasso, ieri ci sono state leggere pioggerelline, speriamo che non piova più perché queste grandinate ormai fanno male alla gente nelle proprie case».
Ora… A luglio, in Sicilia, può mai piovere per quattro giorni di fila, giorno e notte?
Vi sembra mai possibile?
E difatti mica piovve in quei giorni, altrimenti gli americani ancora oggi sarebbero bloccati tra Gela e Licata in mezzo al fango…
A cosa voglia alludere Grazia è sin troppo chiaro: si riferisce ai bombardamenti.
E, naturalmente, Grazia scrive in quel modo per una sola ragione: per evitare la censura postale. Frasi esplicite sulla guerra in corso venivano sempre cassate dalla censura postale, per cui per essere certa di passare indenne la censura e far giungere al marito la missiva Grazia preferì usare la metafora delle bombe come pioggia.
La lettera prosegue, e Grazia ci regala ancora un’altra informazione molto importante.
«Basta oggi ce vento e scirocco che fa tanto caldo tanto e il scirocco che nella chiana non si vede niente pare tutto fumo nighiato».
Meteo da Ragalna!
Quindi, c’era vento e talmente tanto scirocco da fare così caldo che nella pianura di Catania non si vede nulla come se ci fosse una nebbia intensa da fumo. Altro che piogge…
Ma questa informazione sul vento è molto importante perché influenzò, e non poco, modalità e tempistica dello sbarco.
Del resto, l’8 luglio i meteorologi del Comando britannico alle Lascaris War Rooms, a Malta, avevano evidenziato il problema. Così, per evitare problemi maggiori, il D-Day venne avviato il 9 luglio anziché il 10 come inizialmente era prefissato.
Il forte vento, infatti, disgregò le formazioni aeree che aviotrasportavano i parà che avrebbero dovuto aprire le strade alle truppe in arrivo da mare. Molti lanci vennero effettuati anche a cento km di distanza dall’obiettivo prefissato, generando così moltissima confusione tra le truppe.
In mare non andò meglio, con altissimi cavalloni prodotti dal grande vento che ostacolarono non poco le operazioni navali.
Ai generali alleati all’alba del 10 luglio apparve chiaro che le operazioni di sbarco si stavano svolgendo nel caos più totale.
Non trascrivo il resto della lettera perché si tratta ancora di questioni personali non di nostro interesse, nonché mezza pagina di saluti. Chi vuole può comunque leggerla dalle immagini.
Così come non vado oltre nel racconto storico perché noto e stranoto, e chi vuole approfondire l’argomento ha solo di che sbizzarrirsi.
Ricordo soltanto che Ragalna venne “liberata” tra il 6 e il 7 agosto. Le truppe degli Alleati erano in movimento da sudovest verso nordest, verso Messina.
Quel che successe dopo è un’altra storia che abbiamo già raccontato ma che ancora racconteremo.
E ricordo ancora, e ancora una volta, che la storia non va interpretata, modellata a proprio piacimento: va letta per quel che è.
E i documenti postali sono, e questo è proprio il caso di dirlo, i nostri maggiori “alleati”.
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