Trentanove!
Settantacinque!
Ambo!!
Terno, quaterna, cinquina, tombola!!
La conosciamo tutti la tombola, uno dei giochi più popolari in Italia, specie sotto Natale.
Dopo arrivarono le cartelle con le caselline di plastica, ma se vado indietro con la memoria (sono classe 1972) affiorano i ricordi delle tombolate con la mia bisnonna che a 102 anni non la battevi nemmeno se lavoravi come croupier a Las Vegas.
E l’odore a permeare l’aria della stanza, quello dei mandarini che venivano privati della buccia esterna perché andava fatta a pezzettini da usare sulle cartelle della tombola per segnare i numeri usciti.
Poi, vabbè, uno starnuto, un urto involontario al tavolo, un movimento improvviso del cane sotto le tue gambe, ed ecco che tutti i pezzettini di mandarino saltavano via e ti toccava ricontrollare tutto!
“Il 43 è uscito??”
“E il 62??”
Quanto era semplice! Quanto era bello!
È chiaro anche che se i mandarini finivano si utilizzava altro, quello che si trovava a portata di mano: ceci, fagioli, lenticchie, pasta, i gusci delle noci o qualsiasi altro oggetto di piccole dimensioni e disponibile in quantità.
Il gioco della tombola nasce a Napoli, nel Settecento, come alternativa al gioco del lotto ma che del lotto eredita la smorfia ovvero l’associazione, secondo antiche tradizioni esoteriche e cabalistiche, a ogni numero da 1 a 90 di un vocabolo, un evento, una persona o un oggetto.
Fu da subito un gioco per famiglie, conosciuto e diffuso, e proprio per questa ragione nella seconda metà dell’Ottocento si pensò di sfruttare la sua popolarità per organizzare tombole telegrafiche su tutto il territorio del Regno al fine di raccogliere fondi a scopo benefico.
Il telegrafo, lo ricordo, è un’invenzione francese. Era il 1794 quando il telegrafo sviluppato da Claude Chappe entrò in funzione tra Parigi e Lille.
Successivamente, nel 1847, fu la volta del Granducato di Toscana. Poi gli altri Stati preunitari.
In epoca di Regno d’Italia la rete telegrafica era ampiamente strutturata e sviluppata al pari di quella postale.
Ma cos’era una tombola telegrafica?
Il gioco si svolgeva allo stesso identico modo di una tombola tradizionale, ma non in un solo luogo, bensì su tutto il territorio nazionale.
Veniva fissata la data dell’estrazione, il montepremi complessivo, e il numero massimo di cartelle che si potevano vendere nonché il loro prezzo (generalmente 1 Lira a cartella, almeno fino agli anni ’20).
Una volta annunciato il tutto tramite manifesti affissi in ogni dove, si dava mandato a dei veri e propri agenti per vendere le cartelle. La vendita si concludeva generalmente sei giorni prima della data fissata per l’estrazione.
I registri con le cartelle della tombola vendute venivano spediti al Prefetto di Roma; quelli che non giungevano in tempo per l’estrazione, erano dichiarati nulli e veniva diramato l’avviso alla località di vendita delle cartelle perché l’interessato potesse prendere indietro il denaro giocato.
Le cartelle, a differenza di quelle odierne con quindici numeri prestampati, presentavano dieci (alcune volte cinque o quindici) caselle vuote entro cui il giocatore doveva scrivere di proprio pugno i numeri con cui tentare la fortuna.
L’estrazione veniva effettuata a Roma e i numeri estratti venivano comunicati telegraficamente a ogni prefettura che li girava poi, sempre telegraficamente, ai vari comuni interessati.
Da qui, il nome “tombola telegrafica”.
Non esistevano ambo, terno, quaterna e cinquina, si vinceva solo con la tombola, ossia azzeccando tutti i numeri, salvo particolari disposizioni evidenziate di volta in volta nei vari regolamenti (tipo, ad esempio, premiare anche la seconda e/o terza tombola).
Il montepremi veniva comunque diviso in più parti eguali nell’eventualità di più vincitori.
Le cartelle vincenti dovevano quindi essere presentate o inviate entro il dodicesimo giorno dall’estrazione.
La prima tombola telegrafica organizzata nel Regno d’Italia a fini benefici fu quella del 19 novembre 1882, a favore dei danneggiati dell’inondazione del Veneto.
L’anno successivo ne venne organizzata una seconda, stavolta a favore dei danneggiati del terremoto di Ischia.
Era il 28 luglio 1883 (e tra quattro giorni cadranno 140 anni da quella data) quando alle 21:30 circa un violento sisma colpì l’isola di Ischia e tutte le sue località: Casamicciola, Lacco Ameno, Forio, Barano e Serrara Fontana.
In realtà, il sisma non fu così forte. Se vogliamo, la magnitudo (calcolata empiricamente) di 4.3-5.2 di quel terremoto è decisamente inferiore a tanti altri terremoti che si sono verificati nel mondo.
Tuttavia, quel sisma provocò danni a cose (a Casamicciola l’80% delle abitazioni crollò, il resto subì forti lesioni) e persone (2313 furono le vittime, 762 i feriti) tali da determinare un X/XI grado nella scala Mercalli (che, ricordo, misura gli effetti di un sisma, non l’energia sprigionata in valore assoluto).
Nella Parte Non Ufficiale della Gazzetta Ufficiale del Regno venivano pubblicati i telegrammi dell’Agenzia Stefani, preziosa fonte di informazione delle cronache dell’epoca. Leggendo in particolare le gazzette dal n.177 del 30 luglio al n.200 del 27 agosto è possibile comprendere la difficoltà di quei momenti.
«NAPOLI, 29. – Il disastro nell’isola d’Ischia è gravissimo. Sono crollate molte case a Casamicciola, a Forio ed a Lacco Ameno. Molte vittime. I vapori arrivano trasportando feriti. Continua l’invio dei chirurghi, soldati, pompieri, e di soccorsi d’ogni maniera.»
Oppure:
«CASAMICCIOLA, 30. – Sulla marina di Casamicciola nessuna casa è intatta. La Chiesa è trasformata in deposito di cadaveri. I morti si trovano sparsi lungo la strada che va al Monte. La popolazione è fuggita tutta, le case sono deserte e abbandonate, le poche persone rimaste sono inebetite e girano piangendo. È impossibile precisare il numero dei morti; qua sembra superiore a mille, a Lacco è di 300; a Fontana-Serrara di 200. Si lavora da tutti attivamente per il salvataggio.»
Un disastro di proporzioni talmente grandi che è infatti entrato nell’uso comune utilizzare la locuzione “Qui succede Casamicciola“, proprio a indicare che sta succedendo un casotto, un putiferio.
Come detto, allo scopo di raccogliere fondi per i terremotati, venne organizzata una “Tombola Telegrafica di Soccorso Nazionale ai danneggiati dell’Isola d’Ischia”.
L’estrazione avvenne a Roma il 18 novembre 1883.
Tra l’altro, la Legge 2 marzo 1884, n. 1985 “Che autorizza la spesa straordinaria di lire 2.080.000 per soccorsi all’isola d’Ischia in seguito al terremoto del 28 luglio 1883” (Gazzetta Ufficiale n.59 del 10.3.1884) all’Art.14 esonerava l’organizzazione della tombola al pagamento delle tasse relative, così da garantire che l’intero importo raccolto andasse ai danneggiati:
«La tombola promossa dal municipio di Roma a beneficio dei danneggiati dal terremoto del 1883 nell’isola d’Ischia, e i sussidi o compensi che saranno dati dal Comitato di soccorso, presieduto dal prefetto di Napoli, dal presidente del Consiglio provinciale e dal
sindaco, saranno esenti da ogni tassa e da ogni diritto erariale.»
Ed è appunto una cartella di quella tombola telegrafica che è protagonista di questo sfizio.
Simile al modello della tombola precedente (cambia giusto il colore della carta, arancione per la prima tombola), presenta le dieci caselle che il proprietario della cartella provvide a riempire con i suoi numeri.
Certo, come qualche lettore forse starà pensando, non si tratta di una lettera, come Sfizi.Di.Posta generalmente mostra! Sì, è vero, ma si tratta comunque di un documento postale perché la rete telegrafica attraverso cui era possibile svolgere la tombola telegrafica era gestita dalle Regie Poste e Telegrafi.
Piuttosto, c’è da chiedersi: il proprietario di questa cartella avrà vinto qualcosa?!?
Riproduzione riservata.