PRZEMYSL, UN NOME TUTTO UN PROGRAMMA

PRZEMYSL, UN NOME TUTTO UN PROGRAMMA

Ci sono località che solo a nominarle nella nostra mente evocano ricordi, fatti, avvenimenti, in alcuni casi anche dolorosi o terribili.
E’ il caso di Przemysl, città polacca del distretto omonimo.

Przemysl, situata nella Polonia sudorientale, è stata da sempre una città strategicamente importante in conseguenza dell’attraversamento del fiume San e della sua posizione geografica, sulle principali rotte commerciali di collegamento tra il Medio Oriente e l’Europa.

Già teatro di feroci scontri durante il primo conflitto mondiale, Przemysl però deve la sua fama per ciò che ivi accadde nella Seconda guerra mondiale.

Con l’invasione della Polonia nell’autunno del 1939 da parte della Germania nazista da un lato e dell’Unione sovietica dall’altro, Przemysl si ritrovò tagliata in due dal confine che correva lungo il fiume San e che separava le due zone di occupazione.

In quanto luogo di confine, a Przemysl iniziarono ad arrivare un gran numero di ebrei con l’obiettivo di passare dalla Germania in Unione sovietica. Si stima che a metà del 1941 gli ebrei giunti nella cittadina polacca ammontassero a 16.500 persone.

Proprio in quel momento (giugno 1941), però, la Germania nazista invase l’Unione sovietica, e Przemysl divenne totalmente tedesca. La situazione mutò totalmente.
Venne istituito un ghetto ove confinare gli oltre 22.000 ebrei in quel momento presenti a Przemysl. Tutti i beni vennero loro ovviamente confiscati, i luoghi di culto distrutti.
Intorno alla fine del settembre 1943 quasi tutti gli ebrei del ghetto erano stati deportati nei campi di sterminio di Auschwitz o Belzec.

Nelle vicinanze di Przemysl, precisamente a Neribka, venne installato un campo di concentramento tedesco per prigionieri di guerra, lo Stalag 327, attivo dal dicembre 1942 al luglio del 1944.

In questo campo, al comando del capitano delle SS il Lagerführer Reyner, vennero internati anche i soldati italiani (IMI – Internati Militari Italiani) catturati e deportati in Germania dopo l’8 settembre 1943.

Gli italiani vennero trattati con molto disprezzo in quanto considerati “traditori” (firmando l’armistizio l’Italia di fatto ‘tradì’ la Germania). Si registrarono quindi fatti orribili, al di sopra di qualsiasi immaginazione e di ogni rispetto per la dignità umana.

I militari italiani vennero lasciati morire di fame, di stenti, di malattie. Circa 3.000 soldati morirono nel campo e vennero sepolti in undici grandi fosse comuni. Di queste, solo tre (e solo parzialmente) sono state riesumate nel 1963, i corpi (o ciò che ne rimase) vennero trasferiti presso il cimitero militare di Neribka.

Come riporta lo studioso Vitoronzo Pastore, nel 2003 gli scavi vennero ripresi e vennero recuperati altri 2.500 resti di corpi di soldati sovietici e italiani insieme a piastrine, spazzolini da denti, pettini, cucchiai e croci ortodosse.

Diverse sono le testimonianze da quei luoghi, riporto uno stralcio giusto di una tra le tante, quella di Gianni Giuricin, originario di Rovigno (Istria):
«Chi scrive si è trovato con altri colleghi a cercare e raccogliere la scarsa erba selvatica che cresceva spontanea sul terreno sabbioso nel vasto cortile della Fortezza per mangiarla senza alcun condimento, dopo averla fatta bollire in un catino smaltato, in qualcuna di quelle occasioni con dentro qualche topolino di campagna catturato con la coperta mentre stava spuntando da uno dei numerosi fori vigilati dagli italiani affamati.»

Non credo servano ulteriori commenti.

In tutto ciò, quindi, si inserisce il documento postale che vediamo oggi.
Si tratta di una cartolina postale in esenzione di tassa, così come stabilito dall’Art.38 della Convenzione di Ginevra cui era sottoposti tutti i prigionieri di guerra di ogni ordine e grado.
La cartolina è prestampata in doppia lingua, italiano e tedesco, segno che era appositamente approntata per i prigionieri italiani in Germania.

Datata l’11 marzo 1944, è postalizzata da Bolzano il giorno dopo ed è appunto diretta al campo 327 a Przemysl.
In alto ritroviamo un “15/5”, manoscritto con lapis, che potrebbe essere 15 maggio, la data di ricezione della cartolina, probabilmente annotata a mano dallo stesso destinatario. Quadrerebbe con i tempi.

Il destinatario è un sottotenente, Antonio Gatti, n.269, forse un internato della prima ora visto il numero così basso.
Leggiamone subito il testo.

«Spero si ricordi chi sono. L’incontro alquanto triste alla stazione di Verona prima della vostra partenza. Eseguita la vostra commissione, fui sempre in corrispondenza con la vostra signora, perciò se desiderate notizie scrivete a me che sarà molto più facile lo scambio di corrispondenza. Appena avrò la conferma dell’esattezza vostro indirizzo vi manderò un pacco. Il Ten. Gomea è con voi? Molti saluti, Nucci Casagrande.»

Immaginiamo per un attimo la scena e la situazione.
8 settembre 1943, armistizio. Il sottotenente Gatti, dall’oggi al domani, si ritrova da alleato fedele a traditore.
Viene rastrellato, come altri 800.000 militari italiani rimasti allo sbando, senza una guida.
A quel punto gli viene chiesto: vuoi combattere per la Germania?
Solo il 10% dei militari catturati accetta, gli altri vengono spediti nei lager e Antonio è tra questi.
Tutto avviene in fretta.
La Germania ha premura di occupare militarmente ciò che resta dell’Italia con l’Operazione Asse per contrastare l’avanzata alleata da sud.
Antonio è in fila sulla banchina della stazione di Verona per salire su un treno, destinazione sconosciuta.
Una sconosciuta sulla banchina lo osserva con aria triste e sommessa.
Lui se ne accorge, e a quel punto d’istinto prende una decisione: scrive velocemente un biglietto poggiandolo sul palmo della mano, rapidamente per non farsi vedere dai tedeschi.
Antonio decide che quella è la sua unica e ultima chance: prende il biglietto e lo passa di soppiatto alla sconosciuta.
Sul biglietto Nuccia (che si fa chiamare dagli amici Nucci) trova scritto: “Per favore, scriva a mia moglie […] e le dica che sto bene e che sono prigioniero dei tedeschi“.
Antonio procede sulla banchina, si salutano con un lievissimo cenno della mano, appena accennato.
Nucci legge il biglietto, e due lacrime scendono veloci lungo le guance come acqua di fiume verso il mare.

Ehi, attenzione… Non sto mica dicendo che sia andata così, eh.
Però, mi son immaginato questa scena, e forse non sono andato tanto lontano da come realmente andarono le cose alla stazione di Verona.

Il resto mi sembra comprensibile.
Poniamo adesso però l’attenzione soltanto alla frase “Appena avrò la conferma dell’esattezza vostro indirizzo vi manderò un pacco“.

Nucci non è certa dell’indirizzo del sottotenente. Forse, l’indirizzo del campo 327 è ciò che risulta in Italia, ma non è detto che il sottotenente sia al campo 327.
Quindi, prima di spedire un pacco il mittente volle accertarsi che il sottotenente fosse realmente lì con questa cartolina.

Se osserviamo attentamente il recto della cartolina possiamo notare un timbrino con inchiostro viola, dai contorni irregolari, che riporta la dicitura “Stalag III C / Nr. 37 / Geprüft”.
Che significa tutto ciò?

Geprüft” in tedesco significa “controllato”.
“Nr. 37” è il numero del controllore.
E “Stalag III C” parla da solo. Significa che questa cartolina giunse inequivocabilmente al campo III C.
Gli Stalag erano campi di prigionia per le truppe e al massimo i sottoufficiali. Gli ufficiali erano destinati ad altri campi, gli Oflag.

Il campo III C era localizzato ad Alt Drewitz, piccolo borgo della città di Küstrin (oggi Kostrzyn nad Odra), sempre in Polonia ma distante ben oltre 800 km da Przemysl.

Come mai?
Era un punto di passaggio?
O il sottotenente nel frattempo era stato trasferito?
O il sottotenente non è mai stato a Przemysl, ma si è sempre trovato al campo III C, e il mittente aveva un indirizzo errato?

Trovo difficile che una corrispondenza diretta a un prigioniero ricevesse il bollo di censura di un altro campo per poi proseguire con l’ultima tratta a destinazione.
Di solito, questi timbretti in gomma venivano apposti all’arrivo della corrispondenza al campo, dove vi era un ufficio di controllo (e censura, eventualmente) della corrispondenza, non erano bolli postali attestanti un transito.

Quindi, ritengo più verosimile pensare che il ‘nostro’ Antonio fosse al campo III C, o perché nel frattempo trasferito o perché a Przemysl non c’è mai andato.
Se così fosse, il Campo III-C non era certamente più “umano” del 327.

Venne istituito nel giugno 1940 per raccogliere i prigionieri belgi e francesi catturati nella campagna di Francia.
Dal maggio 1941 si aggiunsero i prigionieri britannici e jugoslavi provenienti dal fronte dei Balcani e da luglio 1941 i sovietici catturati nell’operazione Barbarossa.

Dal settembre 1943 al campo arrivarono anche prigionieri italiani e successivamente americani.
Alla fine, in totale, il campo arrivò a contare circa 70.000 prigionieri di guerra.
L’1° gennaio 1945 l’Armata Rossa entrò nel campo e lo liberò.

Ai prigionieri sovietici i tedeschi decisero di non applicare le condizioni della Convenzione di Ginevra: niente diritti, solo doveri.
Che doveri?
Morire.
La maggior parte dei 12-13.000 militari sovietici furono uccisi o fatti morire di fame.

Molti dei prigionieri di grado inferiore, furono mandati negli Arbeitskommandos (distaccamenti di lavoro) ed occupati nell’industria e nelle fattorie della regione.
Chissà se tra questi vi fu anche il ‘nostro’ Antonio.

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