Oggi è un po’ lunghetto…
Si apre oggi infatti una settimana di eventi che culmineranno il 10 febbraio quando (e quest’anno saranno 20 anni esatti da quando venne istituito con legge 30 marzo 2004 n. 92) si celebrerà il Giorno del Ricordo.
Questa solennità civile nazionale ricorda i massacri delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata, fatti che avvennero nelle terre già italiane di Istria, Fiume e Dalmazia i cui cittadini di nazionalità italiana, all’alba del’8 settembre 1943, si ritrovarono dall’oggi al domani ad essere trattati come stranieri in patria.
Al termine del conflitto tutti i suddetti territori vennero inizialmente occupati militarmente dall’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia.
Quindi, in base a un accordo firmato il 9 giugno 1945, vennero divisi in due zone, A e B, separate da un confine chiamato Linea Morgan.
La zona A era occupata militarmente dagli angloamericani, e comprendeva Gorizia, Trieste, Sesana, la fascia di confine fino a Tarvisio, e l’exclave di Pola.
La zona B era occupata militarmente dalle forze armate jugoslave, e comprendeva quasi tutta l’Istria (esclusa appunto Pola), Fiume, le isole del Quarnaro, e un’exclave nei pressi di Opacchiasella.
Da quel momento si verificò un massiccio spostamento di italiani dalla zona B prevalentemente verso Trieste e Pola.
Questa situazione perdurò sino al 10 febbraio 1947 (ed è appunto per questo motivo che il Giorno del Ricordo è stato istituito in questo giorno) quando venne firmato il Trattato di pace di Parigi.
Il trattato sancì ufficialmente la fine delle ostilità e la “spartizione del bottino di guerra”. Nell’Adriatico orientale venne confermata la divisione tra Zona A e Zona B, adesso non più occupate militarmente ma amministrate da un Governo Militare Alleato (Allied Military Government – Free Territory of Trieste) la Zona A, e dall’esercito jugoslavo (S.T.T. – V.U.J.A) la Zona B. I restanti territori italiani (Fiume, Zara, le isole Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa) vennero definitivamente ceduti alla Jugoslavia.
L’Art.19 del Trattato di Parigi prevedeva però anche un’altra cosa.
«1. I cittadini italiani che, al 10 giugno 1940, erano domiciliati in territorio ceduto dall’Italia ad un altro Stato per effetto del presente Trattato, ed i loro figli nati dopo quella data diverranno, sotto riserva di quanto dispone il paragrafo seguente, cittadini godenti di pieni diritti civili e politici dello Stato al quale il territorio viene ceduto, secondo le leggi che a tale fine dovranno essere emanate dallo Stato medesimo entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente Trattato. Essi perderanno la loro cittadinanza italiana al momento in cui diverranno cittadini dello Stato subentrante.
2. Il Governo dello Stato al quale il territorio è trasferito, dovrà disporre, mediante appropriata legislazione entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente Trattato, perché tutte le persone di cui al paragrafo 1, di età superiore ai diciotto anni (e tutte le persone coniugate, siano esse al disotto od al disopra di tale età) la cui lingua usuale è l’italiano, abbiano facoltà di optare per la cittadinanza italiana entro il termine di un anno dall’entrata in vigore del presente Trattato. Qualunque persona che opti in tal senso conserverà la cittadinanza italiana e non si considererà avere acquistato la cittadinanza dello Stato al quale il territorio viene trasferito. L’opzione esercitata dal marito non verrà considerata opzione da parte della moglie. L’opzione esercitata dal padre, o se il padre non è vivente, dalla madre, si estenderà tuttavia automaticamente a tutti i figli non coniugati, di età inferiore ai diciotto anni.
3. Lo Stato al quale il territorio è ceduto potrà esigere che coloro che si avvalgono dell’opzione, si trasferiscano in Italia entro un anno dalla data in cui l’opzione venne esercitata.»
E la Jugoslavia del maresciallo Tito di questa terza opzione si avvalse, eccome.
Per coloro che scelsero di rimanere italiani non rimase alternativa che andar via, lasciare tutto, perdere tutto, e scappare.
Fu l’esodo.
Non vi sono fonti ufficiali sul numero degli esuli. Si stima, tuttavia, che esodarono un numero compreso tra 300.000 e 350.000 persone verso un centinaio di punti di raccolta sul territorio italiano.
L’articolo 19 non prevedeva però solo diritti, ma anche doveri, al comma 4:
«4. Lo Stato al quale il territorio è ceduto dovrà assicurare, conformemente alle sue leggi fondamentali, a tutte le persone che si trovano nel territorio stesso, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, il godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ivi comprese la libertà di espressione, di stampa e di diffusione, di culto, di opinione politica, e di pubblica riunione.»
Questi diritti agli italiani vennero garantiti?
Già a conflitto ancora in corso, quindi ben prima del comma 4, i partigiani jugoslavi e l’OZNA (la polizia segreta jugoslava) diedero il via ad eccidi nei confronti di militari e civili italiani che, spesso ancora vivi, venivano gettati nelle foibe, inghiottitoi carsici profondi anche centinaia di metri dai quali è impossibile uscire.
Se inizialmente tali massacri vennero eseguiti sporadicamente, subito dopo la fine del conflitto assunsero i caratteri di una vera e propria pulizia etnica nei confronti del popolo italiano, solo perché italiano.
C’è chi contesta il termine “pulizia etnica”. Ma se tali massacri vennero perpetrati solo in base a un dato presente sulla carta di identità, ovvero la cittadinanza italiana, altro termine non sarebbe più appropriato.
Si stima (a seconda delle fonti) che da 3.000 a 11.000 persone vennero ammazzate o gettate già morte nelle foibe, solo perché italiane.
Il punto non è giudicare se fu giusto o sbagliato che i partigiani comunisti di Tito si rivalsero contro i fascisti (perché questa è la motivazione ufficiale). Questa è una considerazione che lascio alle ideologie e alla politica, ‘cose’ di cui Sfizi.Di.Posta non si occupa e non si vuole occupare.
Il punto è che in tutto ciò ci andarono di mezzo centinaia di migliaia di liberi e pacifici cittadini che con la guerra e la questione fascismo/comunismo non c’entravano nulla, cittadini italiani la cui unica colpa era quella appunto di essere italiani.
Nel 1954, il Memorandum di Londra affidò definitivamente la Zona A all’Italia, Trieste compreso, mentre la Zona B passò definitivamente alla Jugoslavia. Tutto ciò venne ulteriormente confermato e sancito dal trattato di Osimo del 10 novembre 1975.
Naturalmente, l’argomento è molto più lungo, complesso, e delicato, qui ho ampiamente sintetizzato. Per chi voglia approfondire quei fatti, rimando alle tante risorse online, alla corposa bibliografia sulla materia, e alle associazioni di riferimento (ANVGD in primis).
Questo è il contesto storico entro cui ci muoviamo per presentare il documento postale di oggi.
Si tratta di un foglio A4, ripiegato un paio di volte su sé stesso e chiuso con un punto di cucitrice, spedito da Trieste per città il 28 dicembre 1951.
Chi scrive è il segretario, col. Stefano Picciolo, della Direzione provinciale di Trieste del Partito Liberale Italiano. Il destinatario è un iscritto al partito.
Il testo:
«Egregio consocio,
La informiamo che nell’assemblea generale del 22 corr. mese le discussioni iniziatesi sulla relazione della presidenza si sono prolungate sui seguenti argomenti:
1. – Situazione politica locale
2. – Situazione politica nazionale
3. – Organizzazione della Sezione in vista delle elezioni ammnistrative
4. – Problemi amministrativi cittadini
Si è inoltre raccomandato di rendere noto alla Direzione Centrale la necessità che il Partito rimanga all’opposizione.
Si è pure approvata una mozione, contro i soprusi del Governo Jugoslavo della Zona B, da inviare al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro degli Esteri, alla Missione Italiana a Trieste ed alla stampa.
L’assemblea, sospesa per ragioni di tempo, riprenderà i suoi lavori giovedì 9 gennaio 1952 alle ore 18.30 precise.
La preghiamo vivamente di parteciparvi.
Distinti saluti.»
La missiva, credo, si commenta da sola.
E chi scrive di “soprusi del Governo Jugoslavo nella Zona B” fu il Partito Liberale Italiano, un partito che nel 1925 venne messo fuori legge dal fascismo, che si poté ricostituire solo nell’estate 1943 a fascismo caduto, che impostò il suo carattere sul riformismo liberale di Benedetto Croce e Luigi Einaudi.
Non certo un manipolo di esponenti di destra, per capirci.
Ricordare quei fatti è un dovere che prescinde dai colori politici e dalle appartenenze partitiche.
Ricordare quei fatti è un dovere.
Diecimila persone vennero trucidate nelle foibe. E questo è un fatto.
Trecentomila persone furono costrette ad abbandonare la propria casa. E questo è un altro fatto.
Punto.
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