LA GRANDE GUERRA, DALL’ALTRA PARTE

LA GRANDE GUERRA, DALL’ALTRA PARTE

Quante testimonianze sono giunte a noi, anche grazie alle lettere e alle cartoline, dei nostri soldati italiani nelle trincee della Grande guerra?
E quante ancora ne giungeranno?!

Una recente stima fornisce numeri impressionanti: tra il 1915 e il 1918 sono 4 miliardi le lettere e cartoline spedite dal fronte a casa, un miliardo e mezzo quelle spedite da casa al fronte, 250 milioni quelle spedite tra soldati al fronte.
Un totale di quasi 6 miliardi di missive.

Un numero che può sembrare enorme anche in considerazione di diversi fattori contingenti: l’elevato tasso di analfabetismo tra i soldati (capitava spesso che il soldato alfabetizzato leggesse e scrivesse anche per i suoi compagni di reparto), la difficoltà logistica di scrivere (tra la scomoda vita in trincea e i continui spostamenti delle truppe), la carenza di materiali (mancava la carta, l’inchiostro, le matite).

Alle difficoltà oggettive sopra esposte e che avrebbero causato una riduzione del volume della corrispondenza si affiancarono svariate misure compensative.
Anzitutto la tariffa agevolata per chi scrive ai militari, senza distinzioni, 10 centesimi anziché 15; ai soldati la possibilità di scrivere a casa gratuitamente, su apposite cartoline in franchigia, consegnate prima in numero di tre a settimana, poi una al giorno; lo speciale “pacco militare”, con cui spedire al fronte sino a un chilo e mezzo di peso alla tariffa agevolata di 30 centesimi (che poi ci mettesse i mesi per arrivare, e il pane casareccio arrivasse ammuffito è un altro paio di maniche…); e così via.

Ma se tutto ciò è quanto accadde in Italia e ai nostri soldati, come se la passavano dall’altra parte?

Ricordo, per i più distratti, che la Prima guerra mondiale vide contrapposti due blocchi, il primo, il gruppo “offeso”, costituito da Serbia, Francia, Impero britannico, Russia, Italia, Belgio, Romania, Grecia, e il secondo, il gruppo “offendente”, dato da Impero austro-ungarico, Germania e Impero ottomano (Turchia).

Per raccontare di quanto accadeva al di là delle barricate, ci affidiamo ancora una volta a un documento postale.

Si tratta di una cartolina postale ungherese, preaffrancata per 8 filler, inviata il 15 maggio 1917 da Gyud, piccolo villaggio all’estremità meridionale dell’Ungheria, noto per il suo santuario mariano, che dal 1934 cambiò il nome in Máriagyud e nel 1977 venne annesso alla città di Siklós.
E’ un soldato, Adiliano Pototschnig, e scrive ai genitori a Trieste. All’epoca Trieste faceva ancora parte dell’Impero austro-ungarico, per cui è corretta la territorialità ungherese della cartolina, ma il mittente scrive in italiano, in un italiano decisamente buono.

«Carissimi miei genitori!
Spero avrete ricevuto le mie notizie. Qui nulla di nuovo. Mi ho fatto cavare la radice, che peraltro era andata in frantumi. Il mangiare consiste qui di circa ¾ di litro di caffè nero alla mattina, al quale aggiungo per ½ litro di latte che compero presso i contadini. Per pranzo una gavetta piena di patate e fagiuoli in forma di minestrone ed un pezzo di formaggio, e per cena o è preciso al pranzo od un litro di caffè nero. Bisogna pensare che qui sono turchi e che i turchi non fanno che bere caffè. Ho trovato quattro bosniaci dalmati di Spalato che sanno parlare l’italiano e così me la passo più bene. Per ora vi saluto a presto il vostro amato figlio Adilio»

Le parole di Adilio offrono uno spaccato fortemente significativo della quotidianità della guerra e, nello specifico, dell’alimentazione, sebbene Adilio, in fin dei conti, non se la passava poi così male, sicuramente meglio di altri, con i contadini a disposizione a vendergli del latte (e forse anche del formaggio).

Il riferimento ai turchi è più che normale. La Turchia offrì il suo contributo, anche di soldati morti (oltre settecentomila), alla causa (persa).

Ma ciò che più mi ha fatto riflettere, leggendo la cartolina di Adilio nel suo ottimo italiano, è stato il pensiero che Adilio, di fatto italiano, avrebbe combattuto contro altri fratelli italiani sulla carta nemici.

Ho sempre ritenuto che i confini tra popoli non siano mai quelli geografici. Quelli sono linee tirate dalla politica e dai vincitori delle guerre. I confini tra popoli, a mio avviso, sono quelli storici e linguistici. Se due persone di due Stati diversi parlano la stessa lingua, ho molta difficoltà a ritenerli stranieri.

Allo stesso modo qui, con questa cartolina.
Ricordate cosa accadde la Vigilia di Natale, nel 1914, dopo cinque mesi di guerra e già un milione di morti?
Christmas truce, Weihnachtsfrieden, Trêve de Noël, Tregua di Natale.

Il fronte occidentale fu scosso da un desiderio di pace, di normalità, di un pallone tirato a calci verso porte improvvisate da cappotti, di cioccolato scambiato con un bicchiere di vodka.
Per un tratto non furono più nemici, per un tratto furono semplicemente uomini.
E io, non so perché, ma Adilio me lo sono immaginato così, un di quelli che dalla trincea uscì fuori per andare a stringere la mano al soldato nemico, un italiano come lui, un uomo come lui.

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