CARA SPOSA

CARA SPOSA

Chi ha a che fare con il grande mercato dell’usato e dell’antiquariato spesso vede passare sotto ai propri occhi tonnellate di lettere delle due guerre e dei prigionieri di guerra. Oggetti comunissimi dal punto di vista venale, ma ricchissimi di storia e di emozioni.
Sfizi.Di.Posta se ne è occupata già diverse molte, ma non è mai abbastanza.

Ricordare, preservare e tramandare la memoria è un obiettivo che non deve mai venire meno, non si deve mai abbassare la guardia, non si deve mai pensare che “tanto è stato già fatto”.

No. Non è stato fatto mai abbastanza. Se ancora nel 2024 prevalgono gli interessi economici su quelli umanitari, e ancora oggi c’è qualcuno in giro per il mondo che pensa di risolvere le cose sparando missili sui civili inermi, significa che non è stato fatto abbastanza.
E questo ce lo ricorda nello sfizio di oggi il soldato Vincenzo, nella sua semplicità, nella sua genuinità.

Vincenzo Iacono è originario di Santa Elisabetta, un comune che dista una decina di km da Agrigento e che deve il suo nome, secondo un’antica leggenda, a una principessa araba di nome Elisabetta che giunta nella zona si convertì al Cristianesimo.

Vincenzo è un soldato semplice che ad un certo punto, non sappiamo quando né dove, venne catturato dagli inglesi.
Un militare catturato dal nemico assume automaticamente lo status di “prigioniero di guerra”, detta all’inglese POW, Prisoner Of War. E a questo status si applicano una serie di diritti e doveri definiti dalla Convenzione di Ginevra, all’epoca dei fatti che stiamo per narrare in vigore era quella del 1929.

Tra questi diritti vi era anche (art.38) quello di inviare e ricevere corrispondenza in esenzione di tassa. Gratuitamente.
A tal fine, gli inglesi e gli americani da un lato e i tedeschi dall’altro, predisposero delle specifiche cartoline e lettere che venivano fornite ai prigionieri per scrivere a casa.

Quella di cui parleremo oggi è appunto una di quelle lettere, una lettera che il soldato Vincenzo scrisse a sua moglie il 1° febbraio 1944 da Bhopal, nell’India centrale.
Come c’è finito lì?

Bhopal è una città di (oggi) quasi due milioni di abitanti, detta anche “città dei 7 laghi” ma che io direi anche “città dagli 8 campi di concentramento”.
L’India, all’epoca, era colonia britannica, e gli inglesi installarono in India ben 29 campi di concentramento suddivisi in 6 gruppi. Il Gruppo II era appunto quello di Bhopal all’interno del quale si trovavano i campi dal numero 9 al numero 16.
Vincenzo, come scrisse lui stesso al retro, era al campo n.11.

Negli otto campi di Bhopal si trovavano solo prigionieri italiani catturati in Nord Africa. Il trattamento dei prigionieri variava in funzione del comandante del campo, ma in linea generale gli italiani a Bhopal non se la passarono malissimo.

Come riporta Gustavo Cavallini su Il Postalista, Abida Sultan, figlia di Hamidullah Khan, l’ultimo nababbo del Principato di Bhopal, così riferisce:
«Gli italiani erano così buoni e gentili che presto cominciarono ad avere un notevole impatto nella vita sociale di Bhopal. C’era un certo numero di artisti tra i prigionieri, i quali cominciarono a dipingere stupendi ritratti e vedute di Bhopal. Formarono anche una splendida orchestra che dava concerti e serviva come live band per le serate danzanti di mio padre. Uno dei prigionieri era un certo Signor Rizzo, persona squisita, che fu assunto per diventare allenatore di boxe per mio figlio ed i suoi due amici. Gli italiani insomma avevano arricchito la vita di Bhopal ed alcuni erano perfino tristi di lasciare la prigionia una volta finita la guerra.»

E il ‘nostro’ Vincenzo, come se la passava?
Che scrisse alla moglie?
Leggiamo insieme.

«India 1.2.44. Cara sposta risponto presto alla tua cara e desiderata lettera che porta data del 1.11.43 godento nel sentire che gottima salute così con la presente ti assicuro da me per il presente. Cara sposa tu mi dice che nel Italia sapevate che la festa di S. Natale del 43 ci la dovevamo fare assieme ma io ti dico che quella he la nostra debboleza che ci chiama questo, anche noi credevamo che per Natale dovevamo essere accasa e ancora siamo qui e angora non cie speranza. Speriamo per il Natale del 44 che saremo presente. Cara sposa tu mi parle per Giuseppe Catalano per salutarci la sua famiglia, quello e partito da circa 6 mese e ti lo fatto sapere anche come e partito da qui perché lui mie raccomandato tanto di farlo sapere presto a casa sua cosi io oscritto come e partito lui non so se la lettera la avete ricevuto. Cara sposa ti fosapere che poche giorni fà lo ricevutoun biglietto di Giuseppe Milioto facentomi sapere che sta bene e mi addetto di comunicarlo alla sua famiglia come pure Giuseppe Santoro che si trovano assieme e salutano alle suoi famiglie lo stesso avoialtre tutte. Cara sposa vorrei dirti qualche cosa non di male ma la presente non po. Termino bacianto a te gonite le cari piccole lo stesso le mie tutte come pure le tuoi tutte salute commare in famiglia parinte e vicine tutte nuovamente baci a te le carippiccole e sono persempre tuo intementi cabile Vincenzo cio presto arivederci buone notizie. Baci sempre,»

Anzitutto, un’osservazione al volo sui tempi della posta in quei momenti e in quel contesto.
Vincenzo sta rispondendo alla lettera appena ricevuta e datata 1° novembre.
Ben tre mesi.

Poi… Cosa gli vorremmo dire al caro Vincenzo?
Fa tenerezza, con tutti i suoi errori grammaticali. Eppure non lo si dovrebbe nemmeno schernire o biasimare visto che, invece, tanti suoi commilitoni non sapevano nemmeno prendere la penna in mano.

Sicuramente, Vincenzo è frutto dei suoi tempi.
Viene automatico costatare il fatto che Vincenzo non chiama sua moglie nemmeno per una volta con il suo nome, Michela, preferendo sempre “Cara sposa”.
Quasi a voler spersonalizzare la moglie, considerandola come sposa e non come persona.
Con tutto ciò, però, non ci vedo cattiveria (come invece ci vedrei oggi), anche perché il desiderio di tornare a casa dalla moglie è palpabile.

Cercando Vincenzo Iacono nella banca dati dei caduti e dispersi della Seconda guerra mondiale messo a disposizione dal Ministero della Difesa troviamo ben tre Vincenzo Iacono di Santa Elisabetta, ma tutti e tre caduti nel 1943, due in Russia e il terzo in località ignota. Evidentemente non si tratta del ‘nostro’ soldato.
Molto probabilmente, quindi, Vincenzo tornò a casa.
Dalla sua sposa.
Dalla sua Michela.

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