«Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.»
Chi ha letto il Gattopardo ha ben chiara l’atmosfera decadente che serpeggia tra le pagine. In un Regno d’Italia da poco realizzato, in cui miseria, analfabetismo, malaria e delinquenza evidenziano ed acuiscono i divari tra Nord e Sud, Tomasi di Lampedusa si adegua all’aria che si respira e non la fa mutare con il suo racconto.
Ma ci fu anche chi non se ne stava con le mani in mano. Ci fu anche chi, non per partito preso ma per amore per la propria terra, volle provare a cambiare le cose.
Parlo del barone Giuseppe Luigi Beneventano della Corte.
La famiglia Beneventano pare discenda dalla nobile e antica casata degli Orsini di Roma. Alcuni di essi si stabilirono prima a Venezia, poi a Benevento, dove acquisirono il nome, e infine nel 1296 in Sicilia, a Lentini.
Nel 1639 il casato dei Beneventano ottenne il riconoscimento nobiliare.
Il più importante e noto esponente della famiglia fu Giuseppe Luigi IV Beneventano, “Don Peppino”.
Nacque a Carlentini il 13 novembre 1840 da Saverio III Beneventano e Concetta Modica. Dopo aver completato brillantemente gli studi, a soli vent’anni si laureò in Giurisprudenza e l’anno successivo venne eletto Sindaco di Lentini.
Di politica ancora si nutrì ricoprendo per parecchi anni la carica di Presidente del Consiglio Provinciale di Catania.
L’8 novembre 1874 venne eletto, nel collegio di Augusta – Siracusa e nel gruppo della Destra, deputato al parlamento nazionale per la XII Legislatura.
Il 3 giugno 1908 venne eletto Senatore del Regno per la categoria n.21 “Persone che da tre anni pagano tremila lire d’imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria”.
A tal proposito, nel fascicolo di verifica degli atti per essere nominato Senatore è allegato un documento dell’Agenzia delle Imposte Dirette di Lentini in cui si certifica che le imposte pagate dal barone negli ultimi tre anni (sommando terreni, fabbricati e ricchezza mobile ricadenti nel solo comune di Lentini) ammontano a 32.454,36 Lire, dieci volte tanto la cifra richiesta dalla categoria 21.
Nel 1900 alla sua casata venne attribuito il titolo “della Corte”, titolo rinnovato con Regio Decreto 16 agosto 1900 e che si tramandava automaticamente ai maschi primogeniti.
Le sue idee furono molto liberali e spesso in contrasto con la casta baronale, ed è chiaro che se contrasti la casta prima o poi cadi. E infatti anche lui cadde, non venne rieletto al Senato, e con questo la politica nazionale gli chiuse definitivamente le porte.
Per la sua città di Lentini, però, continuò ad adoperarsi. Sebbene fonti orali contrastino con quanto di seguito riportato, don Peppino con la sua umanità, il suo coraggio, il suo altruismo, e soprattutto con la sua magnanimità si fece voler bene dalla gente, dalla sua gente (leggasi, ad esempio, Giorgio Franco “Il potere dei Beneventano del Bosco sull’Urbe Leontina”, in “Agorà” n.56, 2016).
I valori contavano più del denaro. Erano i tempi in cui la parola data valeva più di un contratto scritto. Erano uomini tutti d’un pezzo, integri, nel bene o nel male.
Era consapevole di essere ricco, ma era altrettanto consapevole che tutta quella ricchezza derivava da decine e decine di uomini che lavoravano per lui. I “suoi” uomini, quindi, venivano prima di ogni cosa: non accadde una volta sola di provvedere a sue spese alla dote per il matrimonio della figlia di un suo operaio.
Applicava, in piena autonomia, una ridistribuzione sociale delle ricchezze.
Don Peppino viveva a Palazzo Beneventano, una bellissima dimora distrutta dal terremoto del 1693, ricostruita subito dopo e ristrutturata profondamente proprio durante la residenza del barone Giuseppe Luigi Beneventano della Corte con incarico all’architetto Carlo Sada.
Il 27 marzo 1934 don Peppino morì a Lentini.
La sua dipartita fu un duro colpo per la città che per la casata. Il suo discendente, infatti, Luigi Giuseppe V, fu un bravissimo studioso di matematica e fisica (si dice che fosse uno dei ragazzi di via Panisperna), ma non fu altrettanto bravo e scaltro nei rapporti con il prossimo (con la sua governante, in particolare) e nella gestione del patrimonio (dilapidato in pochissimo tempo).
Il seguito è storia recente e poco attinente (per cui ci fermiamo qui) con il documento postale protagonista dello sfizio di oggi.
E’ il 6 novembre 1923 e una raccomandata parte da Lentini in direzione di Pozzallo, allora ancora in provincia di Siracusa (la provincia di Ragusa, dove oggi ricade Pozzallo, venne istituita con Regio Decreto-Legge 2 gennaio 1927, n. 1, pubblicato in Gazzetta l’11 gennaio successivo).
Per comprendere la missiva occorre inquadrare l’albero genealogico recente della famiglia, con tutte le sue date e discendenze, e in questo ci viene principalmente in aiuto un documento ufficiale ovvero la “Tabella per l’iscrizione nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana” della Consulta Araldica datato 16 agosto 1900 e aggiornato al 15 giugno 1943.
Per tutte le ricerche d’archivio finalizzate alla determinazione corretta della genealogia della famiglia (visti i numerosi errori presenti in rete – una su tutte: in rete, Umberto viene fatto nascere nel 1911, quando come stiamo per vedere la data corretta è 1898) mi è d’obbligo ringraziare il mio inviato speciale sul campo, mio papà Rosario Occhipinti, il cultore di storia locale Fabrizio Marziano, la dirigente Lucia Giannì della Biblioteca civica di Lentini, e la funzionaria Giuseppa Miceli dello Stato Civile del Comune di Lentini che ha fattivamente e molto gentilmente dato seguito alla mia richiesta.
Don Peppino si sposò due volte, il 22.2.1862 con Anna (che morì anzitempo) e il 25.8.1877 con Felicia (la sorella minore di Anna) Geronimo.
Da Anna ebbe quattro figli, Concetta (20.12.1862-27.10.1933), Francesco di Paola (12.5.1864-24.10.1931), Benedetto (8.12.1865-15.2.1932) e Lucrezia (20.6.1867-27.6.1956).
Da Felicia ebbe un figlio, Guglielmo (8.11.1884-4.7.1901)
A sua volta, Francesco di Paola il 26.10.1887 sposò donna Lucrezia Di Geronimo dalla quale ebbe sei figli: Giuseppe Luigi (25.9.1888-?), Anna (28.5.1894-1945), Maria (13.9.1895-?), Letizia Ida Eleonora (16.3.1897-7.2.1936), Umberto Giuseppe Vincenzo Francesco di Paola (15.3.1898-14.1.1971) ed Eleonora Margherita (24.2.1900-?).
Don Peppino, quindi, era il nonno di Umberto a cui è indirizzata questa lettera, il “Distintissimo Signor Nobile Umberto Beneventano dei Baroni della Corte“.
All’epoca della nostra missiva, quindi, Umberto aveva 25 anni.
Chi scrive è invece lo zio Luciano (14.12.1851-?), il fratello di don Peppino (Marietta, Francesco di Paola, Angelo e Gregoria erano gli altri fratelli e sorelle).
La lettera è un invito che non presenta tuttavia margini di contrattazione. Sa poco di invito e tanto di disposizione, di diktat. Leggiamo un po’.
«Lentini 6 Novembre 1923
Mio carissimo nipote
Dall’ultima tua lettera diretta a tuo nonno, abbiamo inteso con molto piacere, che tutti state bene in salute e che Beba si è già ristabilita.
Noi qui tutti, grazie a Dio stiamo tutti benissimo.
Ti mando con ritardo la solita £1.000, come ti abbiamo promesso con lo zio Liddo.
E’ da molto tempo che non ti ho veduto, e sarebbe bene che tu venga in questa insieme a tua moglie e la bambina, almeno nelle prossime feste di Natale e del Capodanno, per passarle insieme alla famiglia.
Spero che ci accontenterai, ed in tale occasione dovrei parlarti di cose interessanti, per te e per la famiglia, che sarebbe lungo esprimerti tutto in questa lettera.
In attesa di una tua risposta affermativa, ti abbraccio affettuosamente con Beba e mille baci a Lucrezietta, e tanti ossequi a tuo suocero e famiglia, anche da parte di questi tutti nostri e credimi sempre
Tuo aff.mo zio
Luciano»
Quindi, da questa lettera veniamo a sapere che Umberto si è sposato con Beba (nome proprio di persona di origini spagnole, discretamente diffuso nella Sicilia dell’epoca) dalla quale ha avuto una figlia di nome Lucrezia, e che abitano a Pozzallo (paese d’origine di Beba, probabilmente, visto che lì vive anche il papà di lei).
Veniamo inoltre a sapere che Umberto è finanziato dalla “famiglia”, che da Lentini gli invia periodicamente 1000 Lire, cifra che, in base al convertitore messo a disposizione dal Sole 24 Ore e che si basa sul potere d’acquisto di beni e servizi nel tempo, equivarrebbe a circa 1000 Euro.
Ma soprattutto veniamo a sapere che Umberto trascura la sua famiglia lentinese. Non si fa vedere da molto, probabilmente, e lo zio Luciano non usa mezzi termini, va dritto al punto e lo invita (ma praticamente il verbo più adatto è “gli impone”) di fare le valigie e di trascorrere le imminenti prossime festività a Lentini, dalla “famigghia“.
Notate come zio Luciano disponga e non lasci nulla al caso: l’invito è di venire a Lentini «…almeno nelle prossime feste di Natale e del Capodanno…».
Non uno o due giorni, ma “almeno” da Natale a Capodanno!
Notate anche il sopraffino artifizio retorico che si nasconde dietro alla frase «in attesa di una tua risposta affermativa». Della serie: non ci provare nemmeno a dare risposta negativa!
Le cose interessanti di cui dovrebbe parlargli lo zio Luciano sono probabilmente un po’ di fumo negli occhi, per allettare Umberto e a non farlo esitare.
Probabilmente, zio Luciano non doveva essere tanto diverso dal verghiano padron ‘Ntoni Malavoglia quando, a chi fantasticava di andarsi ad arricchire altrove, disse «guardati dall’andare a morire lontano dai sassi che ti conoscono».
Zio Luciano voleva circondarsi dai sassi che lo conoscono.
Ma quindi, alla fine, Umberto andò o non andò?
La risposta a questa domanda vien fuori da un grandissimo colpo di fortuna.
In un momento temporale diverso, e in un mercatino dell’usato diverso, ho rinvenuto questa piccola bustina contenente un biglietto da visita del notaio dottor Giovanni Basile Fazio che ricambia gli auguri.
La bustina è spedita da Modica, comune sempre in provincia di Ragusa non tanto distante da Pozzallo, il 31 dicembre 1923, quindi successiva all’invito di zio Luciano.
Quel che ci interessa davvero è il destinatario perché la bustina è indirizzata:
«Al Nobile
Sig. Bar. Umberto Beneventano della Corte
Piazza Carmine – Palazzo Beneventano
Lentini»
Quindi, Umberto andò a Lentini!
Al 31 dicembre si trovava proprio nel palazzo di famiglia, in piazza Carmine, l’attuale piazza Dante, dove insiste buona parte della facciata di Palazzo Beneventano.
E bravo Umberto.
Bravo.
Hai ascoltato zio Luciano. E hai fatto contenta la “famigghia“.
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