Torniamo a parlare di confino politico. Lo abbiamo già fatto in più occasioni, e a questi contributi rimando per evitare di ripetere cose già dette:
– Ponza:
https://www.sfizidiposta.it/2020/05/29/ti-spedisco-a-ponza-al-confino/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1188053664874778
– Ventotene:
https://www.sfizidiposta.it/2020/06/12/ventotene-tra-europa-e-confino/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1191592707854207
– Ustica:
https://www.sfizidiposta.it/2020/06/25/al-mare-a-ustica-no-al-confino/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1213930402287104
– Lipari:
https://www.sfizidiposta.it/2020/08/03/confinati-politici-sulle-spiagge-nere-di-lipari/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1231433913870086
– Tremiti:
https://www.sfizidiposta.it/2021/05/11/tremiti-luogo-di-confino/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1463639050649570
Ancora una volta ci troviamo in un’isola che, come già ricordato, per la sua conformazione geografica e i suoi limiti naturali meravigliosamente si presta allo scopo.
Stavolta siamo a Favignana, la principale delle isole Egadi, al largo di Trapani.
Del confino politico su quest’isola, lo si può vedere dalla striminzita bibliografia alla fine di questo contributo, si è poco parlato. Poche sono le testimonianze, poche sono le fonti. E questo almeno per due motivi principali.
In primo luogo perché tra i non pochi confinati che hanno gravitato in quest’isola non risulta alcun nome di spicco, come altrove.
In secondo luogo, a causa delle condizioni disumane con cui i confinati venivano qui trattati: il controllo e la censura erano talmente esasperati che difficilmente le notizie uscivano da lì.
Prima di vedere, quindi, il pezzo che voglio mostrarvi oggi, andiamo con ordine e cerchiamo di capire quale fosse la vita del confinato politico a Favignana.
L’isola, all’epoca dei fatti che racconteremo, è poco abitata, per il suo substrato poco terroso e molto conchiglifero mal si presta alle colture, e persino all’allevamento (gli unici animali presenti in numero consistente sono le capre).
L’unica attività realmente redditizia è la pesca del tonno. Non a caso, la cartolina che vediamo oggi è proprio su questo.
Per via delle correnti che da Gibilterra si incanalano tra Favignana e Levanzo, i banchi di tonni atlantici che entravano nel Mediterraneo durante la stagione degli amori qui trovavano la loro fine.
I Pallavicino di Genova prima, i Florio di Palermo poi, ci fecero una fortuna. La tonnara e il palazzo dei Florio sono un’istituzione, a Favignana.
Quel tufo conchiglifero era però buono in edilizia. Con esso si costruivano le abitazioni, ma si costruivano anche i cameroni, i cosiddetti “Cammaruna“, capaci di ospitare decine e decine di uomini in condizioni pressoché pietose. E sull’isola c’erano sia confinati politici che coatti comuni.
Il cav. Toscano, direttore della colonia, riteneva di poter gestire la stessa a modo proprio e secondo le proprie regole. Quindi, sebbene fosse vietato dal regolamento generale, il cav. Toscano decise che i confinati politici potevano dormire, fianco a fianco su un sacco di paglia, negli stessi cameroni dei coatti comuni.
I confinati politici, tuttavia, di estrazione culturale e sociale diversa dai coatti comuni, non erano d’accordo con questa soluzione perché si trovavano spesso a sopportare le angherie dei coatti comuni e a volte finivano per azzuffarsi nonostante il controllo del capo camerata.
Le finestre dei cameroni erano piccole e sbarrate per cui entrava poca aria: d’estate si boccheggiava.
L’acqua, scarsa in tutta l’isola (tanto che era necessario farla arrivare con navi cisterna), era contenuta in una grande botte.
La ritirata, a suon di tromba, era alle quattro del pomeriggio, poi i confinati venivano rinchiusi a chiave fino alle sette del mattino.
Nelle altre isole teatro di confino politico, se te lo potevi permettere, potevi affittare un’abitazione ed anche convivere con i propri familiari.
A Favignana non era possibile. Come ricorda Michele Gallitto nel suo “Egadi Ieri ed Oggi“, quei pochi che ci provarono, erano costretti a regole rigide e umiliazioni continue: ricevevano infatti continue visite a domicilio, la casa doveva avere le finestre sbarrate e la chiave della porta, una volta chiusi dentro la sera, doveva essere consegnata ai militari, che la restituivano la mattina dopo.
Durante il giorno i confinati non potevano allontanarsi dal centro abitato o fermarsi in piazza a chiacchierare, potevano entrare nei locali pubblici (ma non nei postriboli) ma sempre con il divieto di sedersi.
Ma soprattutto veniva imposto loro di darsi a stabile lavoro, cosa che a Favignana risultò quasi impossibile stante la situazione economica prima descritta.
Tuttavia, un altro aspetto dell’isola spaventava i confinati: la presenza del carcere di Castel San Giacomo.
Risalente come costruzione addirittura all’anno 1000, ai tempi del Re normanno Ruggero, venne usata come bagno penale e tra il 1912 al 1920 per internare quasi 2000 libici.
Tornata alla sua funzione originaria di casa di reclusione, venne utilizzata dal cav. Toscano come luogo di punizione in combinazione con la riduzione della “mazzetta” giornaliera, da 10 a 3-4 Lire.
Delle condizioni disumane di questo luogo ne fa una precisa descrizione Luigi Salvatori, confinato politico a Favignana e internato per tre giorni nella casa di reclusione per non aver fatto il saluto romano al cav. Toscano.
«Sceso in fondo, in una tomba che prendeva aria da una inferriata aperta sopra un cortile, piccolo e profondo come un pozzo, e luce dal soffitto, attraverso un vetro sul quale passava a tempo misurato il rumore e l’ombra d’una sentinella (…) tre giorni, per la questione del saluto alla romana… Una brocca d’acqua e la pagnotta del carcere: Pagato! Niente paglione e buio. Contro il freddo di sotto, contro il freddo di sopra, due copertacce… la mattina ero come un pezzo di ghiaccio fra due carte. (…) Ah, le celle… una decina di stanzini di due metri per uno e mezzo si e no, aperti su un corridoio, scavati nel tufo fuori del paese. Li chiude una porta con l’occhio della spia e prendono aria e pioggia, luce e vento, da un lucernario nel soffitto. Lungo una parete un bancone di tufo serve per letto.
Si scende laggiù da una specie di garitta nella quale fa da sentinella una guardia. Il vento fischia sul capo e si insinua negli stanzini colla voce dei malenti; la pioggia vi entra col freddo degli scheletri che toccano i vivi; sopra vi scorribandano i cani randagi che lottano per una femmina o per un osso.
E’ la tana delle paure! … La rabbia degli unghioni, la libidine degli uggiolii, la violenza degli abbaiamenti, tormentano il punito così fisicamente come se lo graffiassero, lo bagnassero di seme, ne ferissero i nervi. Una fossa da supplizi…».
Limitazioni e privazioni non risparmiavano nemmeno la posta.
Sempre Gallitto ci riferisce della situazione.
«Le lettere, prima di essere spedite ai propri familiari, subivano la censura del direttore della colonia e del prete del carcere; così poi questi sventurati dovevano sopportare anche la predica. Tutto questo non succedeva ai coatti comuni, che per posta avrebbero potuto combinare chissà quali affari.»
Censura che non ha risparmiato nemmeno la cartolina che vediamo oggi, spedita da Favignana il 14 luglio 1936 e indirizzata a Villafrati (Palermo).
Chi spedisce è una certa Sarina Puleo che invia i saluti anche a nome degli zii, di Nenè e di Andrea.
Chi siano tutte queste persone non è dato sapere.
Quel che è certo, però, è che la cartolina passò dalle grinfie del censore. Abbastanza chiaro è infatti il grande bollo circolare R. DIREZIONE COLONIA CONFINATI DI POLIZIA – FAVIGNANA, con stemma sabaudo al centro.
E’ possibile, quindi, che Sarina fosse una parente di un confinato, non ritrovando ella stessa tra gli elenchi del Casellario Politico Centrale. Né altri Maurici, residenti a Villafrati, risultano in detti elenchi.
Quindi, davvero azzardato sarebbe fare qualsiasi ipotesi.
Sta di fatto che in tutti questi anni in cui ricerco materiale relativo al confino politico, questa è l’unica cartolina censurata che mi è capitato di trovare.
Segno, questo, che Favignana fosse un piccolo buco nero, dove probabilmente la corrispondenza non veniva censurata ma più spesso eliminata del tutto.
Ultima annotazione, ma davvero di non molto conto rispetto al resto.
La cartolina è affrancata con 20 centesimi. In quel momento con 20 centesimi era possibile spedire una cartolina illustrata con al massimo 5 parole di convenevoli.
Qui ne abbiamo il doppio. La cartolina andava quindi tassata del doppio della differenza mancante (rispetto alla cartolina senza limitazioni, con tariffa di 30 centesimi), quindi 10 centesimi per due, totale 20 centesimi.
Eppure non venne tassata.
Svista?
Voglia di non interferire con il temibile bollo di censura del cav. Toscano?
Chissà…
Bibliografia.
– Michele Gallitto, “Egadi, ieri e oggi. Isolani, deportati, schifazzi“. L’Arcilettore Edizioni, Roncadelle (BS), 2008.
– Luigi Salvatori, “Al confino e in carcere“. Feltrinelli Editore, Milano, 1958.
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