1839.
E’ l’anno in cui è stato spedito questo piego, da Lentini a Palermo.
Datato 19 agosto, arrivò a Palermo il 23 agosto (come attesta il bollo al verso).
Ovviamente, la missiva non è affrancata, e ciò è normale dal momento che i francobolli nel Regno delle Due Sicilie arrivarono soltanto vent’anni dopo, nel 1859.
Sul fronte è impresso inoltre un bollo molto interessante, “M.S.G.A.“.
Si tratta di un bollo di controllo la cui sigla sta per Marchese di San Giacinto Amministrazione. Questi bolli, di foggia lineare come questo o con monogrammi, venivano impressi per attestare il controllo della corrispondenza in transito, o relativamente alla tassazione che doveva gravare sulla missiva o sul diritto di far viaggiare una determinata missiva in franchigia o meno.
Nella fattispecie, questo bollo, il cui uso con questa foggia è noto proprio nel 1839, era utilizzato per il controllo del diritto di franchigia.
Ed effettivamente sembrerebbe che il controllore non abbia ritenuto valido tale diritto, e quindi abbia tassato di 10 grana la missiva, come attesta appunto il numero 10 apposto sul frontespizio.
La distanza tra Lentini e Palermo era di 120 miglia, la tariffa fuori circondario (Palermo non era ovviamente nel circondario di Lentini) da 100 a 150 miglia era appunto di 10 grana, che è appunto la tassa indicata dal controllore.
Ma vediamo adesso il testo della missiva.
«Francofonte, lì 19 Agosto 1839
Signori
In adempimento di quanto mi si è ordinato, vengo a scrivere separatamente per ciò che riguarda le terre di Bibinello e con altro apposito foglio parlerò degli affari relativi al Feudo di Cuppodia. Apprendo frattanto in che consiste tal podere, che trovasi gabellato a Filippo Delago e Salvatore Bologna sino ad Agosto 1842 per lo estaglio [N.d.R. contratto d’affitto simile al cottimo, “a staglio”, in uso nell’Italia meridionale] di Onz 24.12 annuali di netto. Relativamente poi al sequestro apposto dal Percettore di Palazzolo, come mi vi recherò per far notificare la nuova procura al dimesso Cappellani e ricevermi le carte ed il denaro presso lui esistente, mi darò la premura d’informarmi meglio perché le procedure sono state a preferenza incoate contro tal fondo. Suppongo io però che tal sequestro fosse stato fatto perché negli altri fondi facenti unica partita sul catasto fondiario non ha trovato forse il Percettore come soddisfarsi la rata, ed in tale stato di cose sarebbe giovevole il dipamento della partita, perché un ordine qualunque del Sig. Tesoriere Generale non può togliere il mal dalla radice ove il fondo Bibinello si trovasse effettivamente insolidato ad altri come io suppongo.
Tanto mi conviene sommettere e resto in attenzione di ulteriori comandi.
L’Amministratore
Francesco di Calangiò»
La missiva, quindi, riferisce di aspetti legali e amministrativi di due proprietà terriere Cuppodia e Bibbinello ricadenti in provincia di Siracusa, in un territorio più ampio che va da Palazzolo Acreide al triangolo agrumario Lentini-Carlentini-Francofonte. Molto attenta sembra l’analisi e la gestione degli affari da parte dell’amministratore. Non altrettanto avverrà più avanti, come stiamo per vedere.
Il Feudo di Cuppodia citato nel testo ricade in contrada Piana dei Monaci, in territorio di Pedagaggi (frazione di Carlentini, Siracusa). Fonti storiche citano la regalia di tale fondo ai Canonici di Malta (insieme ad altri 7 fondi donati ai Cavalieri Gerosolimitani del Priorato di S. Giovanni dei Bagni di Lentini – Priorato? Cavalieri? Ma parliamo di cavalieri templari a Lentini? Ebbene sì) tra il 1100 e il 1200.
Facendo un salto temporale di circa 700 anni, da un documentato articolo reperito in rete di Salvatore Jannitto, “Lentini e la famiglia Beneventano“, veniamo a conoscenza quanto l’acquisto dell’ex-feudo Cuppodia risultò fatale alle finanze del barone Giuseppe Luigi Beneventano della Corte.
Della ricca e possidente famiglia Beneventano, il ramo “della Corte” era quello impoverito e rimasto a vivere a Lentini, mentre altri rami (i “del Bosco”) più facoltosi della famiglia dimoravano a Siracusa o Catania (splendido il Palazzo Beneventano del Bosco nell’isola di Ortigia, a Siracusa), tanto che sovente i “della Corte” venivano chiamati nobili ma non baroni.
Il 27 giugno 1908 Giuseppe Luigi Beneventano della Corte viene eletto Senatore del Regno, e per Lentini è motivo di orgoglio e di grande entusiasmo.
Entusiasmo che andò scemando, sempre più, quando nel 1928 in Senato il barone Beneventano votò (insieme a Benedetto Croce ed altri) contro un ordine del giorno (discorso di Mussolini del 12 maggio sulla nuova legge elettorale) che avrebbe dato sempre più potere al partito fascista, con le conseguenze che conosciamo.
Alla sua morte (1934), durante l’orazione funebre, priva di esponenti del Governo, il barone Beneventano viene definito come “il conservatore più illuminato di Sicilia”.
Eppure, alla sua gestione è imputabile la crisi finanziaria della sua famiglia, proprio a causa dell’ex-feudo Cuppodia che, dopo averlo acquistato, si scoprì essere più volte ipotecato. Il barone dovette pagare le numerose ipoteche, dissanguandosi finanziariamente tanto da finire amministrato (condizione di cui soffrì molto).
E, forse, tali ipoteche risalgono già ai tempi della nostra missiva del 1839.
Il fondo Bibbinello, invece, cui si riferisce direttamente la missiva, ricade nell’omonima contrada in territorio di Palazzolo Acreide (prov. Siracusa), e deve il suo nome al Torrente Bibbino che scorre su queste terre.
Su questo fondo insiste una magnifica chiesa rupestre la cui costruzione, secondo le fonti, pare risalire all’epoca bizantina, intorno al VII secolo d.C. Ampia circa 80 mq, è costituita da un ingresso di sezione rettangolare attraverso il quale si accede all’oratorio vero e proprio, scavato direttamente nella roccia, a navata unica, nel quale è possibile riconoscere varie nicchie probabilmente utilizzate come altari e alcune tracce di affreschi non più riconoscibili.
Più a valle della chiesetta, in corrispondenza della confluenza del Bibbinello nel Fiume Anapo, è possibile ammirare una vasta necropoli non meno interessante della più nota necropoli di Pantalica. Utilizzata già in età sicula, presenta numerose tombe a grotticella artificiale scavate nella parete calcarea.
Anche il Fondo Bibbinello, quindi, dal punto di vista legale-amministrativo, non sembra star messo meglio del Feudo Cuppodia.
Il Reale Albergo dei Poveri si sbarazzò poi di quei terreni?
Probabilmente sì, ma per avere una risposta certa occorrerebbe effettuare ricerche d’archivio che esulano da questo contributo che nasce per essere uno ‘sfizio’, e che tale deve rimanere.
Ultimo, ma non ultimo: cos’era il “Reale Albergo dei Poveri”, con sede centrale a Palermo e con sede locale a Francofonte?
Edificato in corso Calatafimi 217 a Palermo tra il 1746 e il 1772, il “Reale Albergo dei Poveri” venne istituito con lo scopo assistenziale di accogliere orfani, poveri, malati, vagabondi, prostitute. Uno dei fondatori fu don Francesco Paolo Gravina, Principe di Palagonia, Marchese di Francofonte, che ne divenne presidente proprio nel 1839.
All’epoca era naturale per i nobili fare beneficienza, ma il Principe di Palagonia fu un vero benefattore. Quando nel 1837 il colera devastò Palermo, molti nobili fuggirono a gambe levate, rintanandosi nelle proprie dimore nobiliari nelle campagne. Francesco Paolo Gravina no, lui rimase eroicamente al suo posto, al punto di assistere personalmente i contagiati.
Era quindi normale per questa istituzione avere fondi e terreni sparsi un po’ per tutta la Sicilia. Del resto, l’albergo dei poveri necessitava di fondi, e non sempre la munificenza dei nobili era sufficiente a coprire le spese.
E chissà se vi fosse un legame, ma certamente non sfuggirà al lettore la coincidenza tra Francesco Paolo Gravina, Marchese di Francofonte, e la sede locale a Francofonte del Reale Albergo dei Poveri, mittente della nostra missiva del 1839 che tanta storia ci ha fatto raccontare.
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