CONFINO POLITICO IN TERRA MOLISANA

CONFINO POLITICO IN TERRA MOLISANA

Il Molise non esiste.
Quante volte abbiamo sentito questa affermazione superficiale quanto ignorante? “Ignorante” non nel senso offensivo del termine, ma in quello letterale. Perché, in effetti, chi afferma che il Molise non esiste evidentemente “ignora” quale terra meravigliosa essa sia.

E, sebbene sia pubblicità totalmente gratuita da parte mia, bene fa (come possiamo vedere dallo spot televisivo che gira in questi giorni) la DR, la giovane azienda automobilistica con sede e stabilimenti a Macchia d’Isernia, a rivendicare con orgoglio il proprio DNA molisano.
Un’azienda che, ferma per la pandemia, si è riorganizzata per produrre (e distribuire gratuitamente) maschere per la respirazione assistita modificando le maschere da snorkeling distribuite da Decathlon merita rispetto. E anche questa pubblicità gratuita.

Molise. Terra di tratturi, terra di transumanza, terra di formaggi, salumi, vino. Terra di montagne, di mare. Terra di transizione per alcuni, terra di isolamento per altri.

Di isolamento.
Perché proprio di questo concetto doveva essere intrisa la mente di chi pensò al Molise come luogo di confino politico durante il regime fascista.

Torniamo, infatti, a parlare di confino politico dopo aver preso in esame tutte le isole che vennero utilizzate allo scopo (Ponza, Ventotene, Lipari, Ustica, Favignana, Lampedusa, Pantelleria, Tremiti) e una sola località sulla terraferma (Pisticci).

Invito il lettore che non avesse letto i precedenti contributi a farlo, anche per aver più chiaro il quadro di cosa significasse essere inviato al confino politico, indipendentemente dal luogo di destinazione.

Il territorio molisano, per sua natura geografica e per l’arretratezza generale dell’epoca, venne individuato come luogo di confinamento già alla conclusione del primo conflitto mondiale, quando l’Italia conquistò i territori redenti del Nord Italia.

il clima era tutt’altro che sopito. Bastava niente per alimentare il sospetto e la delazione, soprattutto tra chi aveva combattuto ed era rientrato da fronti politicamente sospetti di filo-bolscevismo o austricantismo.

Fu così che quasi 700 uomini del Primiero, del Vanoi, del Tesino e di Lavarone, una volta tornati finalmente a casa, vennero spediti a Isernia nel novembre 1918 e lì rimasero sino all’estate-autunno 1919 quando lo Stato italiano riconobbe l’errore politico commesso a danno dei ‘redenti’.

Più tardi, dall’ottobre 1940 al settembre 1943, Isernia, Bojano, Vinchiaturo, Casacalenda e Agnone, furono inoltre sede di campi di concentramento.
In particolare Italiani ‘pericolosi’ (oppositori politici, ma anche pregiudicati per reati comuni, allogeni slavi e individui sospettati di spionaggio e di attività antinazionale), Jugoslavi, sudditi nemici, Ebrei italiani e stranieri, civili italiani e stranieri.

Le ubicazioni dei campi di internamento ci vengono fornite da una nota del 22 giugno 1940 inviata dall’ispettore Antonio Panariello al Ministero dell’Interno (busta 116 del fondo Ufficio Mobilitazione Civile 1938-1945 presente presso l’Archivio Centrale dello Stato consistente in 135 buste):
• Agnone presso l’ex convento San Bernardino (fino a 150 persone);
• Isernia presso l’ex convento detto “Antico Distretto” (fino a 200 persone);
• Casacalenda presso la Fondazione scolastica “Caradonio-Di Blasio” (fino a 200 persone);
• Vinchiaturo presso lo stabile di proprietà del dott. Domenico Nonno (fino a 60 persone);
• Bojano presso la Manifattura Tabacchi (fino a 260 persone).

Le condizioni cui erano sottoposti gli internati non erano dissimili da quelle imposte ai confinati politici. Anzi, erano praticamente identiche.
La differenza era in chi gestiva il tutto. Se l’amministrazione di una colonia confinaria era affidata a un direttore o al Podestà e la sicurezza alla locale polizia, un campo di concentramento era gestito da un direttore alle dirette dipendenze del Ministero degli Interni. E quindi di Mussolini in persona.

Prima di essere campo di concentramento, Agnone fu anche sede di confino politico.
Lo sappiamo dalla pochissima letteratura sull’argomento che, però, in modo molto puntuale ha tirato fuori documentazione incontestabile a supporto.

Mi riferisco, nello specifico, al lavoro svolto dai ragazzi della Classe V B – Anno Scolastico 2000-2001 del Liceo Scientifico “Giovanni Paolo I” di Agnone, coordinati dal professore Francesco Paolo Tanzj, poi raccolto nel volume “I campi di concentramento del Molise. San Bernardino e i confinati politici ad Agnone“.

Nel volume è anche pubblicato l’elenco dei confinati politici ad Agnone attualmente conservato presso l’Archivio comunale di Agnone.
Si tratta di una ventina di nomi tra i quali, al numero 8, troviamo registrato Stopar Miroslavo.

Naturalmente, questo nome non vi dirà nulla, ma il ritrovamento dello Stopar nell’elenco dei confinati di Agnone ci aiuta a comprendere il pezzo che sto per mostrarvi.

Si tratta di una comunissima cartolina spedita da Trieste il 13 gennaio 1936 e giunta a Isernia il 17 successivo.
Il destinatario è appunto “Stopar Miro Conf. pol.“.

Incrociando i dati riportati dal Dal Pont – Carolini (vedere bibliografia) con quelli presenti nel Fondo Confinati Politici conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato (busta 4960, fascicolo 116574) è possibile fare una seppur sintetica ricostruzione in merito allo Stopar.

Miroslavo Stopar, nato a Trieste il 17.1.1906 e residente in Jugoslavia, di professione commesso, venne condannato a 5 anni di confino politico con sentenza del 14 agosto 1933.
Il reato contestato era “Attività sovversiva” in quanto filo-slavo e antifascista.
Venne prosciolto con sentenza del 25 marzo 1937.

Il testo (tradotto in Italiano) è irrilevante, giusto qualche convenevole:
«Cari auguri per il tuo compleanno. La tua lettera l’ho ricevuta, grazie. Mi fa piacere che avete passato bene le festività. Ivanka mi ha scritto che anche loro le hanno trascorse bene. Sinceri saluti e baci da parte mia.»
Lateralmente, qualcosa con il “vento“, non meglio comprensibile.
Niente di particolare, quindi.

Altro non è dato sapere.
Possiamo però osservare alcuni interessanti particolari della cartolina.

Attraverso il bollo postale possiamo sapere che la cartolina è arrivata a Isernia il 17 gennaio.
Tuttavia, notiamo sulla destra una data manoscritta, 24/II/36, come se la consegna al destinatario fosse avvenuta il 24 febbraio.
Se così fosse, dove è rimasta ferma tutto questo tempo? E perché?

Possiamo anzitutto osservare che sulla cartolina non è stato apposto alcun bollo di censura, così come avveniva in altre località confinarie.
Tuttavia, non sfuggiranno al lettore le due sigle, con lapis azzurro e rosso, assolutamente riconducibili a una forma di controllo e/o censura.

La censura avveniva solitamente presso la sede confinaria ad opera del direttore della colonia (se era appunto una colonia) o del podestà o del responsabile di pubblica sicurezza.

Tuttavia non era richiesto al censore la conoscenza di tutte le lingue del mondo, per cui qualora il testo da controllare non fosse scritto in Italiano, Inglese, Tedesco o Francese, la missiva veniva inoltrata alla Commissione provinciale di censura presso la Questura.
Ovviamente, questo allungava i tempi, ma era l’unico modo per essere certi di non far ‘passare’ messaggi scomodi.

In questo caso, la cartolina era scritta in slavo, per cui necessariamente occorreva inviarla alla censura di Isernia.
Ma evidentemente questo lo sapeva anche il mittente.

Molto probabilmente questo è appunto il motivo per cui il mittente inviò la cartolina direttamente a Isernia e non ad Agnone, sapendo appunto che da Agnone l’avrebbero inviata a Isernia per il controllo del testo.

Di questa località di confino altro non sono in grado di raccontare.
I confinati erano davvero pochi, e non tutti avranno inviato e ricevuto corrispondenza, e non tutta quella corrispondenza sarà giunta sino a noi.
Ma credo proprio per questo motivo, quando si rinviene un documento di queste storie meno note, vale la pena raccontarlo.

Si ringrazia per la disponibilità e la collaborazione il prof. Francesco Paolo Tanzj e il sig. Bruno Cerimele, funzionario presso lo Stato Civile e l’Anagrafe del Comune di Agnone.

Riproduzione riservata.

Bibliografia
AA.VV., “Le leggi razziali del 1938 e i campi di concentramento nel Molise”. I.R.R.E. Molise, Campobasso, 2004.
Carlo Spartaco Capogreco, “I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943)”. Einaudi, Torino, 2004.
Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, “L’Italia al confino 1926 1943. Voll. 1, 2, 3, 4”. La Pietra, Milano, 1983.
Diego Leoni, “Agli dei piacque diversamente. Come fu che la terra di Renato (e anche mia) a fine 1918 da austriaca divenne italiana”. In Marco Rossitti (a cura di), “Il guardiano dei suoni. Studi e memorie in occasione dei 70° compleanno di Renato Morelli”. Mim Edizioni Srl, Sesto San Giovanni, 2021.
Francesco Paolo Tanzj (a cura di), “Storia di Agnone. I campi di concentramento nel Molise. San Bernardino e i confinati politici ad Agnone”. Tipografia S. Giorgio, Agnone, 2001.
Francesco Paolo Tanzj (a cura di), “Una storia mai finita. Il Porrajomos dei Rom e dei Sinti dal campo di concentramento di San Bernardino ai giorni nostri”. Tipografia Cicchetti, Isernia, 2016.

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