Sintetizzare in uno ‘sfizio’, per quanto lungo lo possa scrivere, la saga della famiglia dei Florio in Sicilia è impresa ardua per non dire impossibile.
In bibliografia ho inserito qualche proposta letteraria per chi avesse piacere ad approfondire l’argomento con un bel libro sotto l’ombrellone.
Qui mi limito a raccontare i tratti salienti di una storia incredibile che affonda le sue origini nel lontano 1783 quando un disastroso terremoto colpì Bagnara Calabria, paese natale di Paolo Florio il quale, nel 1799, lasciò la Calabria per trasferirsi a Palermo.
Nella città siciliana Paolo aprì un negozio di spezie, coloniali e chinino, attività che portò nelle casse della famiglia molti soldi. Alla sua morte, nel 1807, il figlio Vincenzo aveva otto anni, ancora troppo piccolo per gestire l’attività che venne quindi presa in mano dal fratello di Paolo, Ignazio.
Quest’ultimo, oltre a portare avanti brillantemente l’attività, ebbe due grandissimi meriti: avvicinare e istruire il nipote Vincenzo, futura guida dell’attività, anche con viaggi in Inghilterra; espandere l’attività di semplici droghieri a qualcosa di più grande, anche appunto grazie ai contatti con l’estero che via via si stavano attivando.
Fu così che, prendendo in affitto quelle di San Nicola (a Trabia) e della Vergine Maria (o Bordonaro, a Palermo), avviò le attività dei Florio nelle tonnare.
Nel 1828 Ignazio morì e a 29 anni Vincenzo, ormai maturo nella gestione aziendale, subentrò a capo dell’azienda di famiglia.
Vincenzo continuò con il progetto aziendale legato alle tonnare, acquisendo (tra le altre) e ampliando quella dell’Arenella, a Palermo.
Non solo. Oltre quella del tabacco e del cotone, nel 1833 avviò una delle attività che rese famosi i Florio in tutto il mondo: la produzione e la vendita dei vini Marsala.
E con alcuni soci stranieri la “Anglo-Sicilian Sulphur Company“, una società per l’estrazione e la vendita dello zolfo siciliano.
E non solo, ancora. Nel 1840 fondò la “Società dei battelli a vapore siciliani”, con collegamenti in tutto il mondo, Americhe comprese. Nel 1862 la Florio fu una delle quattro compagnie abilitate al servizio postale (la Palermo-Napoli e il cabotaggio della Sicilia, con puntate gli arcipelaghi siciliani, a Malta e a Tunisi).
Nel 1868, quando morì Vincenzo, il figlio Ignazio (stesso nome del nonno) succedette alla guida dell’azienda familiare.
Proseguì con grande successo la gestione del padre, ma il gran colpo di maestro di Ignazio fu l’acquisto delle isole di Favignana e Formica, dove allestì la più grande tonnara con industria di lavorazione del tonno che si fosse mai vista sino ad allora.
Per la prima volta, il tonno veniva prodotto e conservato sott’olio in apposite lattine, e non sotto sale come era accaduto sino a quel momento.
Sul versante navigazione, la Florio ottenne nel 1877 sempre più linee su cui gestire ufficialmente il servizio postale: il canale d’Otranto, lo Jonio, le linee Ancona-Zara e Brindisi-Corfù, ma soprattutto le linee per Salonicco, Smirne, Costantinopoli e Odessa.
Le due più importanti compagnie italiane, la Florio e la Rubattino, erano le padrone dei mari.
Nel 1891 Ignazio morì lasciando al figlio maggiore Ignazio Junior la gestione dell’industria di famiglia.
Anche lui continuò con successo le varie attività familiari e ne intraprese di nuove: Villa Igiea, luogo per la cura dei malati di tubercolosi, oggi hotel prestigioso; i cantieri navali; il quotidiano L’Ora, il cui primo numero uscì il 22 aprile 1900.
La moglie, Francesca Jacona della Motta di San Giuliano, passata alla storia come Donna Franca, seppur non fosse una Florio, dimostrò negli anni di essere una Florio ancor più del marito.
Mentre Ignazio Junior, da vero mecenate, finanziava i lavori di diverse opere che resero Palermo luogo di attrazione per tutto il mondo, Donna Franca intesseva relazioni, curava i rapporti, era la vera animatrice della Belle Époque siciliana: i Siciliani la chiamavano la ‘regina di Palermo’. Ne rimasero colpiti (tra gli altri) Gabriele d’Annunzio (che la definì “l’unica“) e il Kaiser Guglielmo II (che la soprannominò “stella d’Italia“).
Di lei, impossibile non citare il famosissimo ritratto che le fece Giovanni Boldini e che ho avuto la fortuna di ammirare in una mostra al Complesso del Vittoriano nel 2017. Commissionato dal marito nel 1901 e terminato dal pittore ferrarese nel 1924, Boldini ritrae Donna Franca in una posa un po’ disinvolta (per l’epoca), a braccia scoperte, con le spalline un po’ calate di un meraviglioso abito nero su cui campeggia una lunga collana di perle. Sembra che Ignazio Junior non ne fu molto contento.
Accanto Ignazio Junior nel XIX secolo iniziò a spiccare anche il fratello, Vincenzo Junior, eccellente affarista, grande sportivo e organizzatore di eventi: a lui si deve la famosissima corsa automobilistica “Targa Florio”, così come il “Giro Aereo di Sicilia” e il “Corso dei Fiori”, una sfilata di carrozze d’epoca decorate con fiori che ebbe luogo il 18 marzo 1906 (vinse, come prevedibile, la carrozza di Donna Franca).
A causa delle numerose spese sostenute e alla cattiva gestione dei beni da parte di Ignazio Junior, la famiglia si avviò lentamente alla decadenza che si concluse con la liquidazione della gran parte dei beni.
Per quanto estrema possa essere stata la mia sintesi, è possibile osservare quanto molteplici e variegate siano state le attività e le sfere di interesse della Famiglia Florio.
Sebbene dunque sia privo della lettera interna, grande emozione suscita comunque il documento di oggi, un piego spedito il 22 giugno 1843 a Ignazio e Vincenzo Florio.
Il piego parte da Napoli con destinazione Palermo, ed evidentemente viaggia per mare. L’evidenza è confermata dal bollo ovale “Vapori Postali” in uso dal 1839 al 1844.
Al verso, i probabili bolli di arrivo a Palermo del 23 giugno.
Inoltre, corretta risulta la tassa riportata sul frontespizio con un segno a china a indicare il numero 1. Stava per 10 grana, ovvero la tariffa per lettera semplice (un foglio) tra Napoli e Sicilia (e viceversa) in vigore tra il 10 giugno 1817 e il 30 giugno 1845.
Sul frontespizio, a destra, si può inoltre osservare un bollo composto da una sigla di quattro lettere: DSAG, un monogramma indicante Duca Saponara Amministrazione Generale.
In uso dal 1839 al 1847, questo bollo attestava l’avvenuto controllo della tassa postale da parte della ditta appaltatrice di cui alla sigla.
La missiva, come detto, è indirizzata a Ignazio e Vincenzo Florio.
Ma chi dei tanti della dinastia?
Ricordiamo che il piego ha viaggiato nel 1843, e facciamo delle ricostruzioni.
Nel 1843 Vincenzo (1799-1868) aveva 44 anni, mentre Ignazio (1838-1891) potrebbe essere il figlio di Vincenzo che però all’epoca aveva appena 5 anni. Appare quindi improbabile che una corrispondenza potesse essere indirizzata anche al figlioletto di 5 anni.
Molto più probabilmente, invece, il destinatario Ignazio (1776-1828) era lo zio di Vincenzo, morto nel 1828, e che quindi rimase come intestazione nella ditta di famiglia per un po’.
Che notizie avranno ricevuto i Florio non è dato sapere dal momento che, come detto, la missiva è mancante.
E’ tuttavia una grande emozione toccare con mano un piego a loro indirizzato: già questo è ampiamente sufficiente per giustificare questo ‘sfizio’.
Proposte letterarie
• Stefania Auci, “I leoni di Sicilia. La saga dei Florio“. Editrice Nord, Milano, 2019.
• Stefania Auci, “L’inverno dei leoni. La saga dei Florio“. Editrice Nord, Milano, 2021.
• Pino Casamassima, “I Florio. La vera storia della famiglia diventata leggenda“. Diarkos, Santarcangelo di Romagna, 2021.
• Anna Pomar, “Franca Florio“. Edizioni Piemme, Milano, 2021.
• Salvatore Requirez, “Ignazio Florio. Il Leone di Palermo“. Nuova Ipsa Editore, Palermo, 2021.
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