Censura?
Limitazione alla libertà di pensiero! Alla libertà di espressione! Controllo! Vigilanza! Repressione!
È quanto ci viene in mente nel sentire nominare quel termine.
Eppure c’è un momento in cui l’esercizio della censura non soltanto è tollerato, ma anche legittimo e indispensabile: durante una guerra.
La censura in tempi di guerra nasce come strumento di tutela per la nazione belligerante sia per controllare le comunicazioni da/per il fronte, che per evitare la fuga di notizie (qualora la corrispondenza cadesse in mani nemiche), che infine per verificare lo spirito delle truppe e il morale della popolazione.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente interessante e venne molto utilizzato dal regime fascista a fini di propaganda.
Infatti, se la censura postale venne prevista già prima di entrare in guerra, con i Regi Decreti n.2247 e n.2248 del 1939 (tenuti segreti e formalizzati soltanto il 15 giugno 1940, cinque giorni dopo essere entrati in guerra), molte delle azioni messe in atto dal regime durante la guerra derivano proprio dall’analisi della corrispondenza in corso d’opera.
A questa appartiene la missiva protagonista di questo sfizio, una lettera spedita da Roma il 6 febbraio 1942 e diretta a Sint-Eloois-Vijve, un piccolo villaggio delle Fiandre occidentali, in Belgio.
Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo erano cadute in mano tedesca già al termine della fulminea Campagna di Francia, iniziata il 10 maggio e terminata il 25 giugno 1940. L’unico modo affinché una missiva potesse giungere in terra belga era quindi passando dalla Germania.
Il mittente era evidentemente a conoscenza di ciò, e sebbene superfluo lo annotò nell’indirizzo, “via Deutschland”.
A proposito del mittente, si tratta della sede generalizia romana dei missionari di Scheut, meglio conosciuti come Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, un istituto religioso maschile fondato nel 1862 dal presbitero belga Teophiel Verbist.
I membri di questa congregazione clericale si dedicano (uso il verbo al presente perché è ancora attiva) ad attività missionarie presso le popolazioni non cristiane e alla cura delle anime, in Asia in particolare ma anche in Africa e in America.
Sebbene la Chiesa fosse ufficialmente neutrale e apparentemente tollerasse il regime, i nazifascisti erano guardinghi nei confronti del potere temporale, sospettosi che dietro la sua neutralità si nascondessero i sovversivi.
Non curanti del mittente, le spire della censura postale infatti si abbatterono ugualmente sulla missiva che venne aperta e controllata prima di lasciare il suolo italico.
Qui il censore non poté fare a meno di bloccare la missiva.
Come è infatti possibile leggere dai bolli apposti al fronte, “AL MITTENTE” e “SI RESPINGE / CARTA QUADRETTATA NON AMMESSA”, la missiva venne respinta perché il mittente utilizzò una carta quadrettata, cosa riscontrabile nella lettera presente all’interno della busta (dove venne replicato il medesimo bollo). E ugualmente ripetuto è il timbretto del censore, “1 873”.
Tra le novità introdotte dalla censura, infatti, vi erano il divieto di fare riferimento a luoghi specifici, di usare lingue straniere, di includere all’interno della corrispondenza fotografie personali o panoramiche, e appunto l’uso di carta quadrettata.
Quest’ultima venne vietata perché annerendo o ricalcando uno o più lati dei quadretti del foglio era possibile inviare messaggi in codice incomprensibili alla censura ma interpretabili dal destinatario che evidentemente quel codice conosceva.
In tal caso, la lettera veniva bloccata e restituita al mittente, come appunto accadde alla ‘nostra’ missiva (di cui non riporto la trascrizione della missiva scritta in fiammingo, non è di interesse per questo sfizio).
Al retro è possibile osservare la fascetta che l’Ufficio Censura Posta Estera applicò alla busta per risigillarla dopo averla aperta.
Bolli circolari come quello presente sulla fascetta vennero introdotti proprio nel febbraio 1942, a giustificare eventuali ritardi nell’inoltro.
Questa missiva venne semplicemente imbucata nella cassetta postale, ma da lì a poco la modalità di invio di corrispondenza diretta all’estero sarebbe cambiata.
Dopo il 30 marzo 1942, infatti, la posta estera civile occorreva presentarla in ufficio postale sigillata ma non affrancata.
L’impiegato postale annotava quindi sulla missiva gli estremi del mittente e del documento di identità presentato.
Quindi, il funzionario applicava i francobolli necessari a coprire la relativa tariffa postale e servizi accessori richiesti (espresso, raccomandata, posta aerea, etc), timbrava, firmava, e inoltrava a destinazione.
Molto ben diverso che applicare due francobolli, e via!
Per la cronaca, il mittente affrancò con 1.25 Lire, la corretta tariffa per l’estero per lettere semplici in vigore dal 1° gennaio 1926 (cambierà in 2.50 Lire dal 1° settembre 1944).
E, come abbiamo visto, l’utilizzo del francobollo di propaganda raffigurante i due capi dell’Asse italo-tedesco poco valse al censore che ugualmente applicò la norma e respinse la missiva.
Tutto nella rigidità più assoluta.
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