TI SCRIVO UNA LETTERA… ANZI NO, UN LIBRETTO!

TI SCRIVO UNA LETTERA… ANZI NO, UN LIBRETTO!

Catapultiamoci a oltre 120 anni fa, al 23 settembre 1902, data di spedizione della missiva in partenza da Genova e diretta a Milano, protagonista dello sfizio di oggi.

Per la precisione, il mittente scrive da San Francesco d’Albaro, località nei pressi di Genova che sino al 1873 era un comune a sé stante.
Poi, con il Regio Decreto n.1638 del 26 ottobre 1873, San Francesco d’Albaro insieme a San Martino d’Albaro, Foce, Marassi, San Fruttuoso e Staglieno vennero inglobati dal comune di Genova.
Oggi, Albaro è un quartiere del capoluogo ligure.

«Cara Margherita
Le sono molto grata che in piena vita vagante e divertente abbia trovato un po’ di tempo da dedicarmi, giacché so per esperienza che quando si è in viaggio è una vera virtù il poter riuscire a scrivere una lettera. Grazie dunque di nuove e di questa e del buon ricordo che serba di me e l’accerto ch’esso è pienamente diviso da parte mia. Anch’io desideravo scriverle a lungo ma attendevo sempre di saperla a Trieste, appunto per non obbligarla all’eroico sforzo di una risposta! E ancora un grazie devo aggiungere per la graziosa targhetta che mi mandò e che, non è certo da meno di quello che mi attendevo, ma servirà benissimo per la scatola cui è destinata. Per essa ebbi poco tempo da dedicare a questa nuova occupazione, la pirogravura[?], ma col tempo chissà quali capolavori! E allora mi ricorderò del debito che ho verso di Lei se pure non preferisce che lo dimentichi!
Anche il canto non è stato ripreso ancora regolarmente, e le lezioni colla Maestra non le avrò che in Novembre mese in cui essa tornerà dalla campagna. [???] tra uno dei miei desideri più vivi di poterci trovare ancora assieme (non sarà facile che Lei questo inverno venga a Genova?) e immagini se sarei contenta di cantare accompagnata da una così brava pianista. Eh? Mia Zia Visenti[?] che canta, ma soprattutto cantava assai bene, mi consigliò per quest’inverno naturalmente quando sarò più avanti nello studio del canto, diversi pezzi e tra gli altri la berceuse de Jocelyn il pezzo che preferisco tra quelli che suonavano, e deliziosamente, (senza successo?) Lei e suo fratello. Vi sono pure le parole molto belle e conoscendo ed avendone gustate già la melodia della musica sarà credo una romanza che canterò molto volentieri e con passione. Leggendo del suo rientro a Torino risi, immaginando il suo bel musetto[?] emaciato[?] e pensai che a volte il caso pare si diverta a far dei tiri [???]!
Non sapendo dove indirizzarle questa lettera la mando alla ventura sperando le giunga ugualmente.
[???] Da Salso»

Come è facile osservare, è complicatissimo leggere questa calligrafia così contratta, e anzi invito i lettori a correggermi, sicuramente qualche termine l’ho mal interpretato. Un paio non sono proprio riuscito a interpretarli. Vi ringrazio in anticipo!

Sul fronte della missiva vi è apposto un timbrino che recita “SCONOSCIUTO AL PORTALETTERE”.
Come paventato dal mittente, il portalettere non trovò il destinatario, la “Gent.ma Signorina Margherita Cambiagio, presso Sig.ra Vismara, Milano“: il biglietto non venne recapitato, e probabilmente restituito al mittente.

In realtà il destinatario non era del tutto sconosciuto.
Trattasi di Margherita Cambiagio, nipote del barone Rosario Currò.
Sul nonno di Margherita, Rosario Currò, vale la pena aprire una piccola parentesi.

Nato nel 1813 ad Acireale (Catania), Rosario Currò a poco più di vent’anni inizia a commerciare agrumi soprattutto con l’America.

Nel 1837 si trasferisce a Trieste dove rappresenterà la compagnia Navigazione Generale Italiana di Genova e fonderà la ditta di import/export “Fratelli Currò”.
Gli affari vanno a gonfie vele, la società si dota di proprie navi (la Antonietta prima, il Placido dopo), e nel 1840 sposa la nobile friulana Lucia de Reya dalla quale avrà quattro figli, Rosario jr., Antonietta, Adele e Vittoria.

Per la sua fiorente attività commerciale e i suoi meriti filantropici, con Regio Decreto del 29.11.1883 susseguito da Regie Lettere Patenti del 30.12.1883 gli venne concesso il titolo di barone, trasmissibile ai suoi discendenti (A. Mango di Casalgerardo (a cura di), Nobiliario Di Sicilia, Vol.1, Palermo, 1915).
Nel 1887 muore a Trieste.

Adele altri non è che la mamma di Margherita Cambiagio.
Quest’ultima sposò Ianni Psacaropulo, un agente marittimo originario di Sifnos (nelle Cicladi), e da questo matrimonio nacquero due figli, Alessandro (che intraprese la carriera di architetto e scultore) e Alice (che invece seguì la strada della pittura).

Alice Psacaropulo, nata a Trieste il 14 gennaio 1921 ed ivi scomparsa il 14 novembre 2018, completati gli studi classici come allieva di Giani Stuparich, si trasferisce a Torino dove approfondisce la sua vena artistica presso lo studio di Felice Casorati.

Come riportato sul sito dell’associazione a lei dedicata, “APS Studio Alice Psacaropulo”, la sua intensa attività di pittrice ha riguardato sia il settore delle caricature scolastiche degli anni Trenta che «a saggiare e rielaborare liricamente alcune delle principali tendenze pittoriche del secolo, per giungere ad un personalissimo “realismo provvisorio”. Ha partecipato alla XXIV Biennale di Venezia, a tre Quadriennali romane (’48, ’56, ’60) e ha esposto in tutta Europa in mostre collettive e personali. Le sue opere sono presenti in prestigiose collezioni pubbliche e private.»

Nel 2012 prende parte (con Claudio Magris, Gillo Dorfles, Boris Pahor, e molti altri) al film di Elisabetta Sgarbi “Il viaggio della signorina Vila” ispirato ai libri “Il mio Carso” di Scipio Slataper e “Irredentismo adriatico” di Angelo Vivante.

Personaggi, quindi, non di secondo piano nel contesto culturale triestino.

Nella missiva si fa riferimento alla berceuse de Jocelyn.
Questa altro non è che una sorta di ninna nanna facente parte della maggiore opera in quattro atti, Jocelyn appunto, di Benjamin Godard, del 1888.

La popolare berceuse per tenore “Gli angeli ti proteggano” è stata registrata da molte voci note, Tino Rossi, Beniamino Gigli, Nicolai Gedda e Plácido Domingo, giusto per citarne qualcuno.

Un altro aspetto da attenzionare è il supporto della missiva.
In armonia con i tempi e in linea con le correnti artistiche in voga tra l’Ottocento e il Novecento, anche la corrispondenza subiva infatti il fascino dell’estetica.

Sino ai primi anni del Novecento avevano avuto grande successo e diffusione le cosiddette “valentine“, lettere decorate, ricamate, intarsiate o intagliate, sia nella busta che nel biglietto.

Questo biglietto, unito solo da uno dei due lati più corti, con le sue due pagine interne forma una sorta di libretto, di taccuino, la cui copertina risulta finemente decorata con uno stile perfettamente riconducibile all’Art Noveau, o stile Liberty che dir si voglia.

Nel periodo della Bella Epoque, infatti, ovvero tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Prima guerra mondiale, si sviluppò (prima in Francia, poi in tutta Europa) uno particolarissimo stile legato a motivi floreali che influenzò le arti figurative, l’architettura e le arti applicate. L’Art Noveau, appunto.

L’Art Noveau si configurò non soltanto come stile artistico, ma come stile ad ampio raggio a interessare i più disparati campi anche del quotidiano come l’architettura, la decorazione d’interni e urbana, la gioielleria, il mobilio, i tessuti, gli utensili e l’oggettistica in genere, l’illuminazione, persino l’arte funeraria.

E’ pertanto chiaro e scontato che andò a interessare anche l’estetica della corrispondenza.
E il libretto/taccuino di questo ‘sfizio’, con la sua particolarità e la sua decorazione a motivi floreali sul fronte, ne è un chiaro esempio.

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