Di tratturi e di transumanza ultimamente se ne parla molto. Sarà il desiderio di riscoprire antiche tradizioni, di studiarle e di tramandarle, sarà la voglia di fare Storia, sarà per le inevitabili interconnessioni con il turismo lento, sta di fatto che oggi almeno una volta nella vita abbiamo sentito parlare di tratturi e di transumanza.
La transumanza, ovvero il trasferimento invernale degli animali dai pascoli montuosi e collinari verso le pianure relativamente più miti, affonda le sue radici in epoca sannitica e poi romana. In Italia il fenomeno interessa principalmente i pascoli appenninici dell’Abruzzo e del Molise che d’inverno si dirigono verso le pianure del Tavoliere delle Puglie.
L’usanza fu talmente diffusa che già Federico II sottopose il settore della pastorizia all’amministrazione della Mena delle Pecore di Puglia.
Più avanti, a Lucera venne istituita la Regia Dogana della mena delle pecore, poi trasferita a Foggia, per regolare non solo la gestione dei pascoli ma anche il trasferimento degli animali.
L’apertura della transumanza verso i 23 luoghi individuati per il pascolo (chiamate “locazioni principali”) era fissata il 29 settembre e la chiusura l’8 maggio, in concomitanza con i pellegrinaggi alla grotta di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo.
L’accesso al Tavoliere delle Puglie avveniva solo attraverso sei passi obbligati: Guglionesi e Civitate, Ponterotto, la Motta, Biccari e San Vito, Ascoli e Candela, Melfi e Spinazzola. A guardia dei passi vi erano i cosiddetti “cavallari”.
Il costo di un pascolo (obbligatorio per allevamenti con più di venti capi) era di 8 ducati ogni 100 pecore. Le tasse di passaggio lungo le strade, invece, erano gratuite: proprio per questo motivo le vie percorse dai pascoli vennero chiamate “tratturi”, dal latino “tractoria” a indicare il privilegio di libero passaggio sulle vie pubbliche per le greggi durante la transumanza.
I pastori godevano inoltre di dazi ridotti sul sale e azzerati per i viveri necessari al proprio sostentamento, ma avevano l’obbligo di vendere a Foggia (che divenne così un importante centro commerciale) i prodotti del proprio allevamento, ovvero lana, carne, formaggio, agnelli.
Questa, in estrema sintesi, fu la transumanza. Chi volesse approfondire questi o altri aspetti della transumanza o dei tratturi si rimanda all’ampissima letteratura in materia, online o meno.
In questo contesto si inserisce la cartolina protagonista dello sfizio di oggi, spedita il 16 gennaio 1914 da Castelluccio dei Sauri e diretta a Bovino (entrambi i comuni in provincia di Foggia) dove giunse lo stesso giorno.
Destinatario è il signor Vincenzo Paolo Castoro, fattore di Casa Statella.
«Carissimo Paolo, Giorni or sono ti scrissi in ordine al fossato da scavarsi lungo il tratturo di “Ponterotto” e ti dicevo che la lunghezza lineare è di circa 400 metri ma che ridotti a metri cubici potrebbero dare circa 200 metri. Però gli operai Abbruzzesi, dato il lungo periodo di siccità, prevedendo un sottosuolo molto compatto non vogliono farlo a cottimo, ma bensì a giornata. Noi non ci troveremmo nessuna difficoltà perché, in fondo, lavorerebbero sempre sotto la nostra sorveglianza. Secondo i miei calcoli si andrebbe incontro ad una spesa dalle lire 150 alle 200, compresa la piantaggione della salsolla nell’argine del fosso scavato. Io credo che la spesa non sarebbe molto, data l’importanza di quel fossato e che il sig. Conte vorrà autorizzarci a farlo al più presto possibile perché quando capiterò a Napoli a voce gli farò capire la vera posizione delle cose come feci osservare sopralluogo al Conte ? Francesco e al figlio Fiorito, i quali si convinsero perfettamente della necessità di quel fossato. Ti saluto aff., Michele Gelsormini»
Gli Statella sono un’antica famiglia nobiliare siciliana con i titoli di Marchesi di Spaccaforno, Principi di Cassaro, Baroni di Mongiolino, casata originaria di Spaccaforno (vecchio nome di Ispica, provincia di Ragusa), grossi possidenti di terre. Un membro della casata fu anche molto famoso e influente, Antonio Statella. Un altro membro della casata, Luigi Statella, sposò il 10 gennaio 1883 Rosa Maria Teresa Guevara Suardo, sorella di Prospero Guevara, XIII Duca di Bovino.
Ecco come un siciliano Statella lo ritroviamo a Bovino.
Una menzione a parte la merita la “salsolla” citata dal sig. Michele.
Si tratta in realtà della “salsola”, un genere di piante erbacee e arbustive molto diffuso che deve il suo nome per la sua capacità di adattarsi anche ad ambienti salmastri.
Queste piante sono note soprattutto per una loro particolarità: al fine di diffondere i semi, in autunno il cespuglio si stacca dalle radici, secca, e con il vento inizia a rotolare, formando una palla vegetale che tutti abbiamo imparato a conoscere nei film western.
Per quanto riguarda il “tratturo di Ponterotto” occorre invece fare qualche osservazione in più.
Come detto, uno dei passi di accesso al Tavoliere era in corrispondenza di Ponterotto ovvero al termine del tratturo n.28 Ateleta – Biferno, in origine Pietra Canala – Ponterotto, che corre quasi interamente in Abruzzo da ovest verso est, partendo dall’attuale Castel del Giudice ed entrando in Molise all’altezza di Acquaviva Collecroce, ovvero circa 100-120 km in linea d’aria dalle zone in cui si svolge la corrispondenza.
È decisamente improbabile che le terre interessate dal tratturo fossero così distanti da Castelluccio dei Sauri e da Bovino.
Allora Ponterotto potrebbe essere quel comune della provincia di Avellino all’altezza di Accadia?
Anche in questo caso vi sarebbe una discreta distanza, ma soprattutto dal comune irpino non passa alcun tratturo, quindi non può essere.
Ma allora, di quale “Ponterotto” si parla nella cartolina?
Ebbene, il mittente fa effettivamente un po’ di confusione.
Vediamo di capirci un po’ di più.
Nella zona di Bovino – Castelluccio dei Sauri esiste effettivamente un tratturo, o meglio un tratturello. I tratturelli erano una sorta di bretelle di raccordo tra tratturi principali. Nello specifico mi riferisco al regio tratturello n.51 che da Ponte Bovino passando per Castelluccio dei Sauri, Ordona e Stornara, arriva a Cerignola e che oggi coincide pressappoco con la Strada Provinciale 110.
Su questo tratturello vedere Giuseppe Santoro, “Il regio tratturello Ponte di Bovino – Cerignola. Memorie storiche di transumanza e pastorizia“, Delta 3 Edizioni, Grottaminarda, 2015.
Mentre sui tratturi di Puglia posso suggerire Italo Palasciano, “Le lunghe vie erbose. Tratturi e pastori della Puglia di ieri“, Capone Editore, Cavallino di Lecce, 1981, con annessa Carta dei Tratturi realizzata nel 1959.
Il tratturello partiva da Ponte Bovino non casualmente ma evidentemente per sfruttare anche l’esistente struttura fatta edificare dai Duchi Guevara, una enorme costruzione sullo schema delle antiche “mansioni” romane, che fungeva da locanda, da officina, da stazione di posta, da caserma militare e da sbarra di revisione doganale.
Il luogo perfetto per effettuare i controlli sulle greggi in transito.
Venendo da Ponte Bovino e percorrendo la SP 110, poco prima di arrivare a Castelluccio dei Sauri, sulla sinistra in direzione nordest parte la Strada Provinciale 108 chiamata “Castelluccio dei Sauri – Ponte Rotto”.
La prima parte della SP 108 coincide con un tratto di un altro tratturello, il n.35 Foggia – Castelluccio dei Sauri.
La SP 108 termina poi sulla Strada Statale 655 Foggia – Candela, che coincide con l’antico tratturello n.36 Foggia – Ascoli – Lavello.
E’ quindi questo il “Ponte Rotto” cui fa riferimento il mittente, il Ponte Albanito, un ponte romano che attraversava il fiume Cervaro costruito nel II secolo d.C., nello stesso periodo in cui i Romani tracciarono il percorso della via Traiana.
Nel XIX secolo, quando il ponte era ancora più o meno intatto, l’archeologo britannico Thomas Ashby lo descrisse dettagliatamente, scattando anche numerose foto. Sappiamo così che il ponte era lungo 320 metri, alto alla volta 7 metri, e largo alla carreggiata poco più di 5 metri. Una struttura notevole, sostenuta da piloni in cemento rivestiti di mattoni a realizzare ampie arcate.
La località Ponte Rotto di Castelluccio dei Sauri non ricade quindi sul tracciato di alcuno dei tre tratturelli, ma nelle vicinanze, e quindi probabilmente da qui nasce la poca precisione del sig. Michele.
Un’ultima nota la meritano gli operai abruzzesi i quali, giustamente, non riuscendo a priori a quantificare correttamente le giornate necessarie per lo scavo, grazie alla loro esperienza sul campo avevano compreso bene che non gli conveniva essere pagati a corpo, a cottimo, ma a giornata.
Embè, chiamali fessi…
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