Quante storie d’amore potremmo raccontare durante i due conflitti mondiali?
Un’infinità.
Del resto, i maschietti in età di matrimonio o i mariti già sposati erano al fronte, e quindi è del tutto normale che le loro donne scrivessero.
E scrivevano tanto.
La storia che racconteremo oggi è ambientata nell’aprile del 1942. In quei mesi la guerra imperversava soprattutto in estremo Oriente, con il Giappone in prima linea contro i nemici americani, britannici e olandesi. In Europa era un momento di stallo, dove all’azione sul campo prevaleva quella diplomatica e strategica.
Per l’esattezza si tratta di una missiva spedita da Bologna il 14 aprile 1942 (postalizzata il 15) e diretta al Collegio Aeronautico di Forlì (dove giunse il 16 aprile).
Il collegio, primo istituto aeronautico d’Italia, venne edificato nel 1937 in stile razionalista (ovviamente) dall’architetto Cesare Valle e intitolato alla G.I.L. Nell’ottobre 1941 il duce in persona presenziò all’intitolazione al figlio Bruno deceduto due mesi prima in un incidente aereo.
Oggi il palazzo è sede scolastica e universitaria.
Ritornando alla nostra missiva, i cognomi di mittente e destinatario sono volutamente oscurati, più avanti si comprenderà il perché.
Chiameremo mittente e destinatario con due cognomi di fantasia, Ada Rossi e Mario Bianchi.
Notate inoltre sul frontespizio il numero 59 in lapis rosso. All’epoca si usava numerare le lettere inviate o ricevute, per tenerle ordinate e per verificare che nessuna missiva fosse andata perduta.
«Bologna 14-4-42
(ore 21)
Mariuccio mio adorato,
mi prende forte forte forte una nostalgia di te. Ieri sera a quest’ora ero tra le tue braccia felice e non pensavo che questa sera sarei rimasta invece sola, senza di te, senza il mio Mariuccio che è così caro, affettuoso, buono. Poco fa ò stirato il grembiulino nero che indossavo ieri sera; era sciupato ma io l’ò accarezzato; mi sembrava di rivivere un po’ la felicità che mi hai fatto provare ieri notte. Mario mio come vorrei che tu fossi qua da me! Sono disperata come domenica sera, ma adesso non posso più dire “Voglio andare fuori” Non ci sei più.»
Immergiamoci nel racconto di Ada che, quindi, con Mario ha fatto le ore piccole… Il grembiulino sciupato non può che essere sciupato per quel motivo lì (che non credo occorra spiegare…). Certo, mettersi ad accarezzare un indumento può far pensare a qualche forma di idolatria o venerazione, ma diamo ad Ada il beneficio del dubbio e pensiamo che invece sia solo molto innamorata.
Ma proseguiamo nella lettura della lettera.
«Ò trovato nella tasca della mia pelliccina un filo d’erba. Gli ò dato tanti bacini poi volevo gettarlo via, ma invece no, lo terrò perché ieri sera ho passato con te una delle più belle ore della mia vita.»
Ah, no, allora no, il beneficio del dubbio di poc’anzi va un po’ a farsi friggere. D’accordo l’innamoramento, ma mettersi a baciare un filo d’erba… e a conservarlo! Sempre che lo abbia fatto! A questo punto può sorgere anche qualche dubbio…
«A quest’ora (9.15) sarai in cortile e penserai a me. Ma non puoi vedere le stelle, è nuvolo e poi fa freddo. Non è una serata come ieri sera, e poi siamo così distanti e c’è in noi tanta malinconia.
Mario caro pensi sul serio a me? Mi raccomando domenica, quando andrai a ballare da quella ragazza che ha le palle in testa di chiudere un momento gli occhi e di pensare al tuo tesoruccio lontano. Mario ti voglio bene sai, tanto tanto bene e non voglio che nessuna s’innamori di te, sarei capace di scotennarla viva. Tu ridi di me, ne sono sicura e mi giudicherai sempre più ochetta, ma io ti voglio troppo bene per permettere che qualcuna ti sospiri vicino, e farò di tutto perché tu mi tenga sempre stretta a te, naturalmente finché tu vorrai.»
La ragazza con le palle in testa?? Ma che ragazze frequenta Mariuccio caro??
Sullo scotennamento da viva avrei qualche dubbio, è senz’altro una frase detta così, non lo farebbe mica. La cosa importante, invece, è essere presente sempre nella vita di Mariuccio, come una patella nei confronti di uno scoglio.
«Ti mando (un momento: stanno trasmettendo “Un po’ di luna”. Mariuccio ti adoro, anche quando fai Macario) unita a questa mia lettera, una scrittami dal tuo papà. Senti come è gentile con me? Rimandamela indietro. Gli risponderò con una bella letterina, piena di gentilezze, così dirà che sono una buona figliola. (lo sono sul serio secondo te?)»
Quindi Ada possedeva una radio, e in quel momento veniva trasmesso il brano “Un po’ di Luna” di Ebe de Paolis, testo di V. Valerio, musica di Nino Ravasini, anno 1940.
Questa celebre (per l’epoca) canzone venne interpretata (nella sua versione più nota) da Meme Bianchi, ma esistono anche le versioni del Trio Villalba e di Giovanni Vallarino. Se volete immergervi nell’atmosfera del momento, fate partire il brano, eccolo:
https://www.youtube.com/watch?v=Zy-QVunuDr4
La busta conteneva dunque due lettere, e per questa ragione è affrancata per il doppio porto (sino a 15 grammi la tariffa era 50 centesimi, da 16 a 30 grammi era 1 Lira).
Infine, ecco riemergere l’insicurezza e la pedanteria di Ada con l’ultima domanda, tra parentesi: se la poteva risparmiare.
Ma continuiamo la lettura.
«[macchia sul foglio, cerchiata] questa non c’entra»
E qua arriviamo all’apoteosi della pignoleria e della pedanteria. Ma che ti importa della macchia?? Ma scrivi quello che ti esce dal cuore, fregatene della macchia! E invece no, cerchiata ed evidenziata come se fosse il residuo di un’esplosione nucleare o gli escrementi di uno struzzo!
«Ricordi Mario caro il giorno di Pasqua che giornata deliziosa è stata per noi. La sera poi non so che cosa avrei fatto per te; ti volevo bene come mai te ne ho voluto; e anche tu ti sentivi trasportato verso di me.
Ci vogliamo tanto bene Mariuccio caro, abbiamo tanti bei ricordi, e se qualche cosa può offuscare il nostro amore non pensiamoci e cerchiamo di allontanarlo.
Vedrai che due mesi passeranno presto. Tu studia tanto e coraggio sai Mario mio. Quando non ne puoi più, pensa un po’ a me, alla tua Ada che sempre ti è vicina col suo amore per sostenerti e che ti aspetta a braccia aperte.
Adesso debbo andare a letto Mario caro. Ò tanto pianto oggi in ufficio che ho una voglia matta di chiudere gli occhi e dormire.
Io non so perché tutte le volte che tu parti io mi disperi così. Ti voglio tanto bene ecco la ragione. Non sarai arrabbiato con me se la tua mamma era così in collera questa mattina vero Mario? Sei andato via così silenzioso, hai sfuggito il mio sguardo fino all’ultimo momento. Ma non dirmi che sono molto cattiva, ti prego Mariuccio, io non faccio niente con cattiveria e malizia. Se ò agito male perdonami, l’amore che ti porto mi rende cieca e non so più valutare il valore delle mie azioni. Sono sola, senza di te Mario, e nella mia tristezza capisco quanto io ti abbia seccato con la stupidaggine commessa di venire da te in Collegio e nell’essermi lasciata sfuggire la verità sulla serata di ieri. Ancora ti prego di scusarmi. Sono molto confusa e vorrei sparire. Ciao Mario mio, ti raccomando ancora una volta di studiare e di comportarti bene.
Tanti, tanti bacioni affettuosi dalla tua Ada.»
E, a chiudere la lettera, il nome di Mario riquadrato sul quale Ada ha letteralmente stampato un bacio con le sue labbra ricoperte di rossetto rosso.
Ma dopo un po’ di galanterie ecco uscire il vero motivo della lettera: Ada ha commesso una stupidaggine. Il suo eccessivo trasporto, il suo sempre esagerare, il suo strafare a ogni costo, l’ha portata a fare qualcosa che non doveva.
Cosa si è lasciata scappare? Forse davanti alla mamma di Mariuccio si è lasciata scappare che la notte precedente erano stati insieme? E se l’è lasciata scappare, o l’ha detto di proposito camuffandolo adesso come un errore?
Insomma, di Ada ne esce un quadro generale di persona sicuramente innamorata, ma molto insicura e tendente al camuffamento della realtà, inventando o dicendo cose irreali e irrealistiche, cercando di apparire la moglie perfetta, brava e buona.
Un’ultima nota a margine.
Considerando l’intera lettera, si potrebbero alzare gli occhi al cielo su alcune coniugazioni del verbo avere, come ad esempio “ò” al posto di “ho”, ma occorre dire che all’epoca era una forma diffusamente utilizzata.
A tal proposito si è espressa l’Accademia della Crusca sdoganando le coniugazioni “ànno”, “à”, “ò” e “ài” al posto di “hanno”, “ha”, “ho”, “hai” indicando che sono poco diffuse, che sono legate alla prima metà del Novecento, che sono di uso popolare, ma che non sono errate.
E, infine, l’interrogativo che ci si pone spesso al termine di sfizi come questo: come è andata a finire?
Ada e Mariuccio si saranno sposati? Avranno messo su famiglia?
E qui arriva il colpo di scena perché cercando i cognomi di lei e di lui, quelli che ho volutamente oscurato, si trova una “Ada Rossi Bianchi” a Bologna, deceduta nel 2010.
E tutto quadrerebbe, compreso il fatto che si sono poi sposati, che sono rimasti a vivere a Bologna, e che questa lettera (come chissà quante altre) è stata dispersa ed è entrata nel mercato dell’usato per infine giungere sino a me.
E per rivivere grazie a Sfizi.Di.Posta.
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