GITA SUL NILO

GITA SUL NILO

Le lettere e le cartoline dei soldati durante le guerre ci restituiscono storie personali di incredibile umanità. Con Sfizi.Di.Posta lo abbiamo visto più volte. E più volte abbiamo visto che i soldati catturati dal nemico scrivevano a casa dicendo sempre che stavano bene, che erano ben trattati, che mangiavano, che non mancava loro nulla.

Con le dovute eccezioni, erano tutte bugie, ovviamente a fin di bene (per non far preoccupare a casa più di quanto già erano preoccupati) e per evitare che la censura militare bloccasse la loro corrispondenza.

In realtà, i memoriali pubblicati dopo il secondo dopoguerra ci restituiscono quelle storie così come invece sono state realmente vissute, e ci raccontano a volte di atrocità inaudite, di maltrattamenti, di violazioni ripetute e continue alla Convenzione di Ginevra che, invece, vorrebbe un trattamento umano del prigioniero catturato.

Non vi è una “mappa” delle buone o delle pessime condizioni: ogni campo faceva storia a sé. Non possiamo generalizzare e quindi dire che i campi del Nord Africa erano più duri di quelli in India, o viceversa, o che gli Inglesi erano più carcerieri degli Americani, o viceversa: le condizioni variavano in funzione di chi comandava il campo, fondamentalmente.

Certo è che, in tutto ciò, davvero fuori le righe appare la missiva protagonista di questo sfizio.
Esternamente non vi sono bolli postali a data, ma internamente il mittente data la missiva il 18 febbraio 1945.

Il piego è quello classico predisposto per i prigionieri di guerra, per cui un foglio ripiegato su sé stesso tre volte fino a chiudersi con una linguetta.
Sul fronte troviamo le indicazioni “P/W POST” e “POSTAGE FREE / IN LINGUA ITALIANA“. Ricordo che i prigionieri di guerra, grazie all’art.38 della Convenzione di Ginevra, potevano inviare e ricevere corrispondenza gratuitamente.

Il destinatario, Nina, è probabilmente la sorella del mittente, ne porta lo stesso cognome ed è indicata come “Signorina” e non come “Signora”.
Vive a Sulmona (L’Aquila), ma nel frattempo Nina si è spostata “Presso De Santis“, forse un parente, che vive a Lama dei Peligni (Chieti).

Al retro del piego troviamo l’indirizzo del mittente, il prigioniero di guerra Tommaso, soldato, matricola 356005, detenuto nel campo 312. La sigla finale, M.E.F., sta ad indicare Middle East Forces, le forze inglesi del medio oriente.
Leggiamo intanto il testo.

«P.O.W. ALLEVA TOMMASO 356005 SOLDATO C/O CHIEF P/W POSTAL SECTION M.E.F. CAMPO 312
18-2-45. Carissima Nina, ricevuto tutte le tue care lettere. Ora non posso lagnarmi, anzi ne sono pienamente soddisfatto. Anch’io ti ho scritto spessissimo ed oggi adempio alla promessa di descriverti la famosa gita fatta domenica scorsa. E’ stata la seconda, dopo quella fatta alle Piramidi. Si è trattato di andare ad uno dei grandi sbarramenti del Nilo. Un vero e grande lavoro di ingegneria! Ma riguardo a questo, profano dell’arte costruttiva, non ho potuto fare altro che ammirarne la bellezza esteriore, invece mi è piaciuto moltissimo la natura del luogo. I giardini naturali ed artificiali, attraversati da piccole diramazioni del fiume, erano così bene accoppiati che ad una fantasia un po’ eccitata sarebbe sembrato di essere in un piccolo Eden. Ma, ahime! Anche se io avessi voluto pensare a ciò mi avrebbe disilluso il grande formicolio degli indigeni di ogni età e sesso. Ebbi l’impressione di entrare, più che in un luogo bello e tranquillo, in un cerchio dantesco, dove qui ti assale una turba di anime tormentate, lì una turba di straccioni petulanti che per levarti dalle calcagna devi ricorrere alle minacce. Ma come fai a non ridere? Caccio di tasca delle sigarette per fumare, ed ecco in un batter d’occhio una ventina di arabetti mi circondano e mi chiedono il caratteristico backshish che vorrebbe dire regalo. Immagina la mia situazione e il mio sforzo mentale a trovare le parole adatte per scacciarli! Ma alla fine, stanchi forse di aspettare, si diradano per assalire un altro malcapitato. Se tu li vedessi, sono aggressivi e noiosi quanto le mosche. Bisogna evitare di incontrarli. Feci anche una passeggiata in barca e ricordai come Cleopatra ed Antonio amavano veleggiare sul Nilo. Insomma, nel complesso, la gita mi piacque ed al mio ritorno, come dell’altra, te ne farò la narrazione particolareggiata. Ti ho annoiato o hai piacere che ti racconti una volta tanto qualche mio diversivo? Comunque mi riprometto di riscriverti fra giorni. Abbiti per ora infiniti abbracci, saluti ed auguri. Tuo affezionatissimo Tommasino.»

 

Quindi, c’erano campi che organizzavano gite ricreative per i propri prigionieri di guerra?
Sembra assurdo da credere, eppure Tommasino sembra abbastanza convincente.
Oppure anche questo è un congegnato diversivo per far credere a casa che tutto andava alla grande?

Per rispondere a queste domande ci viene in aiuto la localizzazione e soprattutto la tipologia del campo 312.
Come detto era un campo inglese ed era ubicato a Tell al-Kebir, una municipalità del governatorato di Ismailia situata a circa 100 km a nord del Cairo, teatro nel 1882 di una cruenta battaglia tra le truppe egiziane e quelle inglesi.

Ma quel che più importa è che sulle missive provenienti dal campo 312 vi è spesso (non nel ‘nostro’ caso) impresso un bollo lineare su tre righe, “ITALIAN ADMINISTRATIVE / H.Q. No. 8 / M.E.F.“.

Questo bollo sta a indicare la presenza nel campo di una sorta di quartier generale (Head Quarters) che gestiva un certo numero di compagnie di lavoro (working coy) o distaccamenti di lavoro (pioneers coy) impiegati in Egitto, Cirenaica, Palestina, Sudan, Aden (vedasi A.Pasquini e B.Deandrea, I prigionieri italiani in Medio Oriente, Posta Militare n.89, luglio 2003 – grazie Maria Marchetti per la segnalazione).

Per la precisione, nel quartier generale n.8 di stanza al campo 312 erano presenti sei compagnie di lavoro.
I prigionieri di guerra detenuti in quel campo erano pertanto impiegati in lavori manuali, come forza-lavoro.

E’ quindi probabile che Tommasino le abbia viste davvero le piramidi, e che sia andato davvero presso uno dei grandi sbarramenti del Nilo, ne ha contezza tale da poterne raccontare, ma evidentemente non come turista (come vuol far credere a sua sorella Nina).

Ne ho lette tante di bugie scritte a fin di bene, ma una così ad oggi non mi era ancora capitata. Tommasino ce l’ha messa tutta per rendere il racconto credibile, e va detto che c’è riuscito molto bene, ma possiamo solo immaginare quanto gli sarà costato.

Beh, grazie Tommasino, sei davvero un fratello esemplare, e sono contento di non averti trovato nel database dei dispersi e caduti della Seconda guerra mondiale messo a disposizione sul sito online del Ministero della Difesa.
Significa che sei tornato a casa, che sei tornato da tua sorella Nina, e chissà se, una volta riuniti, non le avrai raccontato la verità su quelle “gite”.

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