Quando si parla di Sicilia e di cibo, il pensiero non può non andare ai cannoli, alle paste di mandorla, alla cassata, alle granite, ai gelati, ai pistacchi di Bronte, al cioccolato di Modica, … Mi fermo? Sì, mi sa che è meglio, già vi vedo con la bava alla bocca…
Beh, devo dire che quando racconto la mia Sicilia lo faccio con un certo orgoglio, quello della terra, dei frutti, del sole, del mare. E del cibo.
Dicevamo, la Sicilia è terra di dolci alla mandorla. E quella che mostro oggi è una cartolina commerciale della ditta Angelo Cosentino di Catania che nel 1919 scrive a un suo cliente fornendo il listino dei prezzi correnti dei generi alimentari disponibili.
Nella parte sinistra troviamo elencati una serie di grani e cereali commercializzati a quell’epoca, tutti di collina o alta collina: Francesa, Tumolia, Realforte, Sammartinara, Maiorca, Orzo, Avena, Fava larga, Fava corrente, Favetta.
Alcuni di questi grani antichi sono ormai dimenticati, altri vengono oggi rivalutati, come ad esempio il “Tumolia” (più noto oggi come Timilia) o il “Maiorca” (molto più diffuso però in Puglia che in Sicilia).
Nella parte destra, invece, troviamo diverse varietà di mandorla e altra frutta secca a guscio.
Oltre le normali mandorle dolci, anche “crivellate” (cioè, frantumate), e amare (da usare in comunione con quelle dolci in alcune preparazioni dolciarie come gli amaretti), troviamo la varietà “Adernò” che si riferisce alla particolare area geografica di provenienza del frutto. L’antica contea di Adernò, di cui si hanno notizie già dall’anno 1000, si estendeva negli attuali comuni di Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Centuripe, Catena Nuova, Trina, Cerami, Adrano, Paternò e Motta Sant’Anastasia.
Poi, la varietà “Biancavilla“, anche in questo caso indicante la provenienza, ovvero il paesino di Biancavilla che si trova alle pendici dell’Etna, da cui derivano in particolare mandorle amare.
Infine, non potevano non esserci i pistacchi. Tutti conosciamo quelli di Bronte, ed effettivamente nel paesino etneo di Bronte vi sono tantissime piantagioni. Ma nel listino prezzi della ditta Cosentino non si fa cenno alla provenienza, bensì alla differente lavorazione del frutto.
Dopo la raccolta il frutto mediante azione meccanica viene separato dal mallo (l’involucro color bianco avorio coriaceo che lo ricopre) ed asciugato per 3-4 giorni al sole. Si ottiene così il pistacchio in guscio, localmente chiamato “Tignosella“.
Una seconda fase della lavorazione prevede che una parte del raccolto venga anche sgusciato. Oggi la sgusciatura avviene tramite appositi macchinari, ma ai tempi della nostra cartolina era ancora fatta manualmente attraverso l’uso di un grosso blocco di pietra lavica, vuoto all’interno (“u sciffu“), sul bordo del quale i pistacchi (ad uno ad uno) erano spezzati con rudimentali martelletti (pietre od altro).
Una fatica e una pazienza enorme che giustificava l’elevato prezzo richiesto.
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