Siamo nel 1949. Settantuno anni fa. Immediato dopoguerra. L’Italia era appena uscita, a pezzi, dalla Seconda Guerra Mondiale. Il livello di alfabetismo era basso, soprattutto nelle regioni del Meridione.
Nel 1951, due anni dopo, l’analfabetismo (ovvero, coloro che non riuscivano a leggere e scrivere) in Italia venne misurato dal censimento generale: Piemonte 3%, Valle d’Aosta 3%, Liguria 4%, Lombardia 2%, Veneto 7%, Trentino-Alto Adige 1%, Friuli-Venezia Giulia 4%, Emilia-Romagna 8%, Toscana 11%, Marche 13%, Umbria 14%, Lazio 10%, Abruzzo-Molise 19%, Campania 23%, Puglia 24%, Basilicata 29%, Calabria 32%, Sicilia 24% e Sardegna 22%.
Non apparirà quindi strano il pezzo che presento oggi.
Si tratta di una missiva inviata da non si sa chi (il mittente non è riportato da nessuna parte, e comunque ha davvero poca importanza) il 20 dicembre 1949. Il destinatario, così come riportato sulla busta, era:
Al Sig. Arni Giuseppe
Viale 20 Settembre
Adicola Giornale Afronti
Barone Grimaldi
Catania
Il mittente non sapeva il civico, e per dare un riferimento ha indicato l’edicola dei giornali di fronte al palazzo del Barone Grimaldi… Fa sorridere, certo, per come è scritto… Ma è lo specchio riflesso della drammaticità di quegli anni in cui l’Italia, con grandissima fatica, cercava di rialzarsi.
E chi era il Barone Grimaldi, noto al punto da fare da riferimento?
Antonino Grimaldi di Serravalle, nato a Catania il 9 marzo 1871 da Mario, barone di Serravalle, e Margherita Fiorini, fu colonnello di cavalleria e aiutante di campo del duca Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta. Fu anche un illustre politico, nonché podestà di Catania dal 10 maggio 1929 al 18 ottobre 1931. Morì nella città etnea il 16 aprile 1956 all’età di 85 anni.
Quindi… beh, sì, era noto.
Infine, una nota storico-postale.
Avete notato che non ho riferito nulla sulla località di spedizione della missiva? Non l’ho indicata semplicemente perché non posso farlo, perché non la conosco.
Come è infatti facile vedere, l’impronta del timbro di partenza è tutta annerita, compare solo la data. Come mai?
In gergo tecnico questi si chiamano “bolli muti” in cui le lettere indicanti la località sono appiattite/scalpellate o sostituite da una piastrina uniforme. Venivano utilizzati in emergenza (sia per eventi bellici che per disastri naturali), o quando il bollo regolare era in riparazione o in sostituzione. Il regolamento postale, in questo caso, imponeva comunque anche l’uso di un bollo lineare (di cui tutti gli uffici postali erano dotati, per usi per lo più amministrativi) con il nome della località.
Come abbiamo detto, siamo nel 1949. L’Italia ha votato per la Repubblica tre anni prima e quindi, ufficialmente, il Regno d’Italia non esiste più. Gli uffici postali devono quindi essere riforniti dei nuovi timbri, in cui non ci siano più riferimenti al precedente sistema postale-amministrativo (“Regie Poste”, vecchi toponimi, etc). La nuova fornitura è stata celere nelle grandi città, meno celere nelle piccole. Ci sono casi di utilizzo dei bolli con riferimenti al Regno d’Italia, per mia conoscenza, sino al 1950.
Quindi, è verosimile pensare che il bollo dell’ufficio di partenza fosse in fase di sostituzione. L’ufficiale postale, però, dimenticò di apporre anche il bollo lineare, e questa fu una grave dimenticanza.
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